venerdì 18 dicembre 2015

Dipendenza dai Social Media: Trappola o desiderio di rivincita sociale? di Salvatore Sasso


 
 
La recente indagine dell’Associazione Australiana degli Psicologi ha cercato, nel panorama internazionale, di mettere a fuoco gli effetti “deleteri” dei Social Media su adolescenti e adulti.

Nel testo ci occuperemo solo degli adolescenti.

Le conseguenze, infatti, riguardano maggiormente lo stress vissuto dai ragazzi e il grosso rischio che corrono a livello di benessere: il controllo costante dello “Status” degli amici li pone in una situazione di dipendenza che ha i suoi risvolti psicologici nella difficoltà di dormire o di rilassarsi (il 60%), facendoli sentire, talvolta, esausti della connettività.

Il paradosso si evidenzia quando affermano che il loro obiettivo è al contrario di rilassarsi (il 37%). Un dato preoccupante è che almeno il 50% è preoccupato o addirittura geloso, pensando che i loro amici non possano condividere con loro contenuti sulla rete.

I ragazzi (ben il 72%) riconoscono che lo stress si ripercuote sulla loro salute fisica, ma poi solo la metà pensa che sarebbe giusto farsi aiutare.

Emerge, inoltre, che gli adolescenti con alti livelli di ansia, angoscia e depressione ricorrono anche a comportamenti di dipendenza come alcool, fumo e gioco d’azzardo, in maniera preponderante rispetto ai coetanei (il 26%).

E in Italia?

Uno studio pubblicato nel 2013 sugli Stili di vita online e offline degli adolescenti in Emilia e Romagna, a cura di Guarini, Brigli e Genta, affronta le modalità di utilizzo dei media.

La maggior parte dei ragazzi italiani, generalmente, scandisce la propria giornata attraverso l’utilizzo costante dei media. I dati delle ricerche, condotte da Eurispes e Telefono Azzurro sui giovani tra i 12 e i 18 anni, sono significativi. Colpisce non solo il numero degli strumenti utilizzati (TV, PC, Internet, Cellulare, Console) ma anche la quantità di tempo dedicato (Eurispes 2012).

La consuetudine ad essere continuamente “connessi” è facilitata dalla diffusione del computer come strumento portatile e personale e, inoltre, dalla opportunità di poter effettuare l’accesso anche con gli smartphone e i tablet. Da una ricerca di EU Kids Online è emerso che “l’uso di internet è sempre più individualizzato, privatizzato e mobile”: molti degli utenti adolescenti della rete infatti navigano dalla propria camera da letto, dal cellulare o da altri dispositivi palmari (Livingstone et al., 2011, p. 2).

Un aspetto positivo dell’uso di internet viene dalla scuola, anche a seguito dell’evoluzione della didattica. L’introduzione dei mezzi informatici in classe, l’utilizzo della Lavagna Interattiva Multimediale (LIM) e degli e-book come libri di testo sono solo alcuni esempi di come i media e le nuove tecnologie abbiano un peso sempre più rilevante nell’ambito dell’istruzione, nonostante un ritardo che si riscontra nel contesto italiano (si veda il progetto delle classi 2.0). Il fattore ritardo caratterizza il nostro Paese in base alla media europea sia rispetto ad un minore accesso ad internet a scuola sia ad un approccio generale legato alla navigazione tramite dispositivi mobili (Haddon, Livingstone, 2012).

Rimane comunque sempre presente il rischio che la rete possa contribuire a forme di dipendenza tanto che da anni è diffuso in letteratura il termine Internet Addiction Disorder (IAD). In realtà non esiste ancora una definizione univoca e condivisa da parte degli esperti sulle dipendenze da internet, né che un utilizzo compulsivo possa essere problematizzato esclusivamente derivandolo dal tempo trascorso online.

Alcuni ricercatori della rete di EU Kids Online hanno approfondito l’uso “eccessivo” e incontrollato di internet all’interno dei venticinque paesi europei oggetto di indagine, evidenziando che, tra ragazzi e ragazze “pochissimi hanno mostrato un livello d’uso che si può definire patologico” (Smahel, Helsper, Green, Kalmus, Blinka e Ólafsson, 2012). L’Italia, in particolare, si è contraddistinta per la percentuale più bassa di persone (Smahel et al., 2012).

I dati emersi da ricerche nazionali e internazionali hanno comunque creato un dibattito in merito alla fruizione prolungata dei media, ad esempio, per le ricadute fisiche in termini di aumento della sedentarietà e del calo delle ore di sonno. La Società Italiana di Pediatria, in un suo rapporto ha parlato di “adolescenza seduta”, riferendosi appunto ad una generazione che trascorre moltissime ore della giornata in questa posizione, tra la  fruizione della televisione e l’incremento del tempo trascorso online (Tucci, 2012).

Ritornando all’acronimo “IAD”, ossia all’Internet Addiction Disorder, possiamo spiegare che in questa categoria clinica rientra la Cybersex addiction (attività che provoca eccitazione sessuale come la ricerca di materiale pornografico o la frequentazione di chat erotiche), la Cyber relational addiction (bisogno ossessivo di instaurare relazioni amicali o affettive con persone incontrate on-line), l’Information overload (ricerca ossessiva di informazioni) e la dipendenza dai giochi virtuali interattivi.

Nel già citato Rapporto Eurispes del 2012, è emerso, inoltre, che quasi un ragazzo su 5 avverte irrequietezza e nervosismo quando non può accedere alla Rete e che più del 17% dei giovani ha cercato invano di ridurne l’uso. In un’altra ricerca, sempre del 2012, effettuata presso l’Ospedale di Cremona “Internet Addiction Disorder Prevalence in an Italian Student Population” è stato trovato che il 94% dei fruitori di Internet fa un uso normale del mezzo, il 5% è moderatamente dipendente, lo 0,79%  è gravemente dipendente.

I dati, considerate le premesse, sembrerebbero piuttosto ottimistici.

L’Associazione Professionale Americana degli Psichiatri (APA) che ha redatto il Dsm-V (l’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), ha deciso di non inserire tra le categorie diagnostiche l’Internet Addiction Disorder; senza trascurarne l’intensità, ha sostenuto che vengano svolti ulteriori approfondimenti in merito a tale fenomeno.

L’lnternet Addiction Disorder (IAD) si riferisce così ad un uso eccessivo di Internet (oltre le 40 ore settimanali), è spesso correlato a importanti problemi sociali e relazionali ed è capace di generare veri e propri sintomi di astinenza: una persona, che inizialmente avverte solo il bisogno di aumentare il tempo trascorso on line, in una fase successiva non riesce più a sospendere, o quanto meno a ridurre, l’uso di Internet e, quando tale uso incontrollato invalida la qualità delle sue relazioni interpersonali, ne deriva un ritiro sociale, che va a compromettere il suo “funzionamento” nell’area sociale, affettiva, lavorativa o sessuale.

Nonostante tali osservazioni, come accennato più sopra, non c’è una definizione condivisa della dipendenza da Internet in quanto non può essere considerata uno specifico disturbo psichiatrico, ma un sintomo (o un insieme di sintomi) spesso correlato/i a differenti quadri diagnostici e clinici aventi come matrice comune il mancato controllo degli impulsi.

Nell’ultima parte della mia intervista, vorrei citare un lavoro di ricerca compiuto insieme con Selene Carbone nel 2012. Allora insegnavo Clinica Psicologica e Psicopatologia Psicosomatica nella Facoltà di Psicologia dell’Università di Chieti. Il titolo della ricerca è stato il seguente “Viaggio alla ricerca dell’identità” Processi psicopatologici nell’adolescenza: Internet Addiction Disorder.

L’identità è un compito centrale nella vita di ognuno di noi, che inizia nell’infanzia e si conclude con il culmine della propria vita, ed ha un ruolo cruciale nell’adolescenza, quale tappa fondamentale per lo sviluppo epigenetico che compie un individuo. L’identificazione è necessaria per lo sviluppo sano della persona sin dalla prima infanzia, si pensi al rapporto con la famiglia, da sempre base sicura per l’individuo e cardine per la società; e al ruolo della scuola, fondamentale per la costruzione di una rete sociale solida in cui fare esperienza. Ma la provvisorietà dei valori che accompagna la nostra società non sempre permette all’individuo di identificarsi con la famiglia o con i coetanei per questo si ricercano nuove esperienze, il più delle volte al limite.

Gli adolescenti del XXI secolo, tentano online di definire “chi sono”, utilizzando luoghi del tutto nuovi, quali,Facebook, Twitter, Messenger, Instagram che sono stati collegati ad esplorazione di identità.

Le accresciute pratiche virtuali riducono le distanze, aumentano le informazioni e la comunicazione tra molti, stimolano la creatività, rendendo l’esistenza momentanea ed esaltando i valori “alla moda”. In questo contesto risulta importante essere capaci di discernimento per potersi muovere tra le ambivalenze della realtà e coglierne, più che sia possibile, la verità e il senso, per dirla con Hegel  “come una rosa tra le spine”.

I Social Network, secondo l’ipotesi dell’arricchimento sociale, sono utilizzati sia da coloro che hanno una buona rete sociale e tendono ad arricchirla, sia da coloro che percepiscono di non avere un’adeguata rete sociale e tendono a compensarla attraverso quella online (Valkenburg et al. 2005). In entrambi i casi si tende a mostrarsi con immagini di sé che fanno aumentare la popolarità o a migliorare la propria autostima (Zywica, Danowski, 2008). Interessante nell’uso di Facebook risulta la necessità di cambiare il proprio profilo in relazione a: cambio di relazioni e di interessi, il che potrebbe far immaginare quanto sia facile in rete presentare altre parti di sé e scoprire al tempo stesso se stessi.

La rete consente l’accesso e la condivisione in modo del tutto anonimo, dove il corpo non è visibile e non incontra lo “sguardo dell’altro”, avendo l’opportunità di rappresentarsi e di comunicare attraverso immagini e simboli, fino alla presentazione di sé attraverso le foto. La modalità di comunicazione prevalentemente utilizzata è quella scritta, che non consente di cogliere i gesti, il tono, la postura, oltre a non esserci il turno di parole negli stessi tempi della comunicazione.

La non immediata visibilità consente, pertanto, di generare diverse identità, combinando segni e immagini del tutto nuove, inducendo alla creazione di un corpo assente e invisibile. Dunque, le persone che interagiscono in internet, attivano processi, che compensano l’informazione mancante, che sono facilmente filtrati da meccanismi di proiezione e attribuzione di senso, gratificando le aspettative dell’individuo (Gamba,2009). Una delle aspettative è la possibilità dell’apertura espressiva di parti di sé che nei contesti interpersonali sono inibite. Il comportamento assume differenze significative in relazione al tipo di comunicazione che si intraprende, vi è una maggiore apertura verso l’interlocutore quando si tratta di mantenere rapporti amicali preesistenti, mentre quando vi è un uso della tecnologia per conoscere nuove persone, si tende ad esaltare aspetti di sé reali o ideali e a preservare la sfera emotiva.

Alcuni utenti usano la rete per far luce su parti di sé sopite che una volta sperimentate e consolidate utilizzano nella realtà, mettendo in atto una risposta efficace.

L’adolescente in questa fase della sua vita si pone una domanda: “Chi sono io?”, alla quale non sa fornire una risposta adeguata, per farlo è necessario che prima abbia fatto esperienza nella società, evitando che il malessere esistenziale, la confusione e la mancanza di fiducia in se stessi rendano l’individuo privo di un progetto di vita. La fiducia verso il futuro appare così minore rispetto a quella verso l’ignoto ed è più semplice affrontare il presente, anche nei suoi aspetti meno familiari che le incognite future. E da questa fuga dal futuro, dalle relazioni affettive, familiari e amicali, bisogna partire per ricostituire l’identità.

Il corpo nella nostra epoca assume sempre più le sembianze di un corpo-oggetto o addirittura di annichilimento della dimensione corporea, non curante dell’altro, del rapporto intersoggettivo, insensibile, anestetizzato, in cui il corpo scompare o meglio vive di vita propria. Proprio di quel corpo fondamentale per la conoscenza, per un primo orientamento, per conoscere e per farci conoscere (Buber, 1959).

Nella dipendenza da internet emerge, infatti, la completa estraneità del corpo dell’altro, che si trasforma in un altro virtuale, un altro che prende le sembianze di una qualsiasi entità, di un espressione del pensiero, realizzando le istanze narcisistiche che nella vita reale non trovano una propria collocazione. Ne consegue una perdita dell’intersoggettività, perché nel cyberspazio l’incontro con l’altro è mascherato e idealizzato secondo le mie istanze, i miei desideri, che non trovano un argine, un confine nel materiale rapporto intersoggettivo, finendo nello psicopatologico, nella depersonalizzazione e nella derealizzazione, che conduce involontariamente ad uno stato di alterazione della coscienza e perdita dell’abituale senso di identità personale, definita : Trance Dissociativa da Video-terminale (Caretti, 2000).

Nella comunicazione virtuale c’è la possibilità di esprimere e mettere a nudo parti di sé sopite, il gesto del linguaggio e la sua vibrazione corporea cedono il posto agli emoticons, attraverso i quali si cerca di esprimere emozioni, tono, impeto, dialetto, grido e silenzi. Il corpo in questo modo appare mutilato, non compare se non attraverso immagini attrattive di sé.

Nelle chat-rooms assistiamo a relazioni che, per buona parte, si costruiscono nella mente di chi le vive. L’immagine di sé viene distorta, attraverso il disegno di sé che più collima narcisisticamente con i propri ideali. È molto forte la tendenza dell’immaginazione a creare nell’interlocutore le parti “mancanti” che non conosciamo. Questo tipo di conoscenza, on line, dà la falsa impressione di poter entrare nel contatto intersoggettivo con un’altra persona, dove scompaiono le incertezze e le frustrazioni che si riscontrano nell’incontro con l’altro nella realtà. Domina la sensazione, spesso illusoria, di poter essere compresi e di comprendere, di condividere le emozioni proprie ed altrui, solo con il “click” di un mouse, generando il senso di vuoto e di angoscia.

 In uno scenario interiore, in cui fa da padrone il vuoto, le esperienze dissociative sono sempre più frequenti. La derealizzazione e la depersonalizzazione, consistono nella sensazione di percepire in maniera distorta il mondo esterno. Il mondo appare al soggetto come privo di coloritura affettiva: anche gli ambienti familiari sono avvertiti come estranei. I soggetti quando non riescono a far fronte a situazioni stressanti, preferiscono percorrere un viaggio alla ricerca delle emozioni, rischiando di rimanere intrappolati nella rete. Possiamo definire questo “viaggio”, una fuga dagli imperativi e dalle aspettative della realtà, proprio come quello che Gauguin operò. Il quale, perso nella confusione della società odierna, si rifugia a Tahiti, un luogo incontaminato, dove poter ritrovare la propria identità, ricostruendo il contatto con le emozioni primitive : “per ritrovare la propria identità, bisogna rischiare di persona un viaggio a ritroso in un luogo primitivo”. 

Quindi, secondo un’ipotesi alternativa, il ricorso patologico a determinati comportamenti, può essere interpretato come tentativo di “sentire le emozioni”, tramite esperienze eccitanti. I soggetti affetti da sindrome da dipendenza hanno difficoltà ad esprimere, identificare o descrivere i propri vissuti emozionali e a discriminare gli stati emotivi dalle sensazioni corporee sottostanti. Si possono infine considerare tali forme di dipendenza come una strategia  per migliorare la propria interazione sociale, la cui scarsità sarebbe indotta dall’incapacità di capire l’altro ed il Sé rispetto ad esso.

 

Nel corso di questi anni, si sono moltiplicati  i programmi di prevenzione, diversificandosi progressivamente sia negli obiettivi che nelle strategie.

Le strategie d’intervento conducono a un progressivo coinvolgimento dei ragazzi, sia nell’attuazione che nella progettazione degli interventi stessi.

Storicamente i lavori di prevenzione della salute affidati agli esperti, facevano leva sulla conoscenza, come se bastasse a modificare i comportamenti. Per questo, l’esperto, è stato sostituito con figure durature nella vita di un adolescente, come educatori, studenti più grandi (dispeer education) o coetanei come nella peer education.

 

A livello di cura delle dipendenze patologiche da internet si può citare l’esperienza del Policlinico Gemelli di Roma, che ha istituito uno sportello di comunicazione per i fruitori del web. L’approccio dell’ambulatorio alla dipendenza è multidisciplinare, come l’integrazione degli interventi verso il paziente.

 

Il protocollo di intervento è strutturato in tre passi:

1.        Colloquio iniziale per confermare o meno la diagnosi di dipendenza

2.        Incontri successivi, per individuare la psicopatologia sottostante

3.        Inserimento in gruppi di riabilitazione, al fine di “riattivare” un contatto dal “vivo” con gli altri e di conseguenza esperienze autentiche di condivisione, senso del limite, capacità di attesa e comunicazione non verbale.

Lo stare ore e ore al computer non costituisce una malattia, ma il sintomo di un disturbo, di un’incrinatura intima molto profonda, alla cui base c’è una carenza o affettiva o solo comunicativa.

Il lavoro di aiuto quindi è basato su una serie di colloqui individuali con uno psicologo atti a far emergere piano piano il problema sottostante il sintomo, e poi attraverso una riabilitazione “in team” si prosegue al recupero dell’emotività e dei rapporti. Anche i genitori vengono sottoposti a colloqui, per un immediato recupero delle motivazioni sottostanti.

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