La recente indagine
dell’Associazione Australiana degli Psicologi ha cercato, nel panorama internazionale,
di mettere a fuoco gli effetti “deleteri” dei Social Media su adolescenti e
adulti.
Nel testo ci
occuperemo solo degli adolescenti.
Le conseguenze,
infatti, riguardano maggiormente lo stress vissuto dai ragazzi e il grosso
rischio che corrono a livello di benessere: il controllo costante dello
“Status” degli amici li pone in una situazione di dipendenza che ha i suoi
risvolti psicologici nella difficoltà di dormire o di rilassarsi (il 60%),
facendoli sentire, talvolta, esausti della connettività.
Il paradosso si
evidenzia quando affermano che il loro obiettivo è al contrario di rilassarsi
(il 37%). Un dato preoccupante è che almeno il 50% è preoccupato o addirittura
geloso, pensando che i loro amici non possano condividere con loro contenuti
sulla rete.
I ragazzi (ben il
72%) riconoscono che lo stress si ripercuote sulla loro salute fisica, ma poi
solo la metà pensa che sarebbe giusto farsi aiutare.
Emerge, inoltre, che
gli adolescenti con alti livelli di ansia, angoscia e depressione ricorrono
anche a comportamenti di dipendenza come alcool, fumo e gioco d’azzardo, in
maniera preponderante rispetto ai coetanei (il 26%).
E in Italia?
Uno studio
pubblicato nel 2013 sugli Stili di vita online e offline degli adolescenti in
Emilia e Romagna, a cura di Guarini, Brigli e Genta, affronta le modalità di
utilizzo dei media.
La maggior parte dei
ragazzi italiani, generalmente, scandisce la propria giornata attraverso
l’utilizzo costante dei media. I dati delle ricerche, condotte da Eurispes e
Telefono Azzurro sui giovani tra i 12 e i 18 anni, sono significativi. Colpisce
non solo il numero degli strumenti utilizzati (TV, PC, Internet, Cellulare,
Console) ma anche la quantità di tempo dedicato (Eurispes 2012).
La consuetudine ad
essere continuamente “connessi” è facilitata dalla diffusione del computer come
strumento portatile e personale e, inoltre, dalla opportunità di poter
effettuare l’accesso anche con gli smartphone e i tablet. Da una ricerca di EU
Kids Online è emerso che “l’uso di internet è sempre più individualizzato,
privatizzato e mobile”: molti degli utenti adolescenti della rete infatti
navigano dalla propria camera da letto, dal cellulare o da altri dispositivi
palmari (Livingstone et al., 2011, p. 2).
Un aspetto positivo
dell’uso di internet viene dalla scuola, anche a seguito dell’evoluzione della
didattica. L’introduzione dei mezzi informatici in classe, l’utilizzo della
Lavagna Interattiva Multimediale (LIM) e degli e-book come libri di testo sono
solo alcuni esempi di come i media e le nuove tecnologie abbiano un peso sempre
più rilevante nell’ambito dell’istruzione, nonostante un ritardo che si
riscontra nel contesto italiano (si veda il progetto delle classi 2.0). Il fattore ritardo caratterizza il nostro Paese
in base alla media europea
sia rispetto ad un minore accesso ad
internet
a scuola sia ad un approccio generale
legato alla navigazione tramite dispositivi mobili (Haddon, Livingstone, 2012).
Rimane comunque sempre presente il rischio che la rete possa contribuire
a forme di dipendenza tanto che da anni è diffuso in letteratura il termine
Internet Addiction Disorder (IAD). In realtà non esiste ancora una definizione
univoca e condivisa da parte degli esperti sulle dipendenze da internet, né che
un utilizzo compulsivo possa essere problematizzato esclusivamente derivandolo
dal tempo trascorso online.
Alcuni ricercatori della rete di EU Kids Online hanno approfondito l’uso
“eccessivo” e incontrollato di internet all’interno dei venticinque paesi
europei oggetto di indagine, evidenziando che, tra ragazzi e ragazze
“pochissimi hanno mostrato un livello d’uso che si può definire patologico”
(Smahel, Helsper, Green, Kalmus, Blinka e Ólafsson, 2012). L’Italia, in
particolare, si è contraddistinta per la percentuale più bassa di persone
(Smahel et al., 2012).
I dati emersi da ricerche nazionali e
internazionali hanno comunque creato un
dibattito in merito alla fruizione prolungata
dei media, ad esempio, per le ricadute fisiche in termini di aumento della sedentarietà e del calo
delle ore di sonno. La Società Italiana di Pediatria, in un suo rapporto
ha parlato di “adolescenza seduta”, riferendosi appunto ad una generazione che trascorre moltissime ore della giornata in
questa posizione, tra la fruizione della televisione e l’incremento del tempo trascorso online (Tucci, 2012).
Ritornando all’acronimo “IAD”,
ossia all’Internet Addiction Disorder, possiamo spiegare che in questa
categoria clinica rientra la Cybersex addiction (attività che provoca
eccitazione sessuale come la ricerca di materiale pornografico o la
frequentazione di chat erotiche), la Cyber relational addiction (bisogno
ossessivo di instaurare relazioni amicali o affettive con persone incontrate
on-line), l’Information overload (ricerca ossessiva di informazioni) e la dipendenza
dai giochi virtuali interattivi.
Nel già citato Rapporto Eurispes del 2012, è emerso, inoltre, che quasi un ragazzo su 5 avverte irrequietezza e
nervosismo quando non può accedere alla Rete e che più del 17% dei giovani ha
cercato invano di ridurne l’uso. In un’altra ricerca, sempre del 2012,
effettuata presso l’Ospedale di Cremona “Internet Addiction Disorder Prevalence
in an Italian Student Population” è stato trovato che il 94% dei fruitori di Internet
fa un uso normale del mezzo, il 5% è moderatamente dipendente, lo 0,79% è gravemente dipendente.
I dati, considerate
le premesse, sembrerebbero piuttosto ottimistici.
L’Associazione
Professionale Americana degli Psichiatri (APA) che ha redatto il Dsm-V
(l’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali),
ha deciso di non inserire tra le categorie diagnostiche l’Internet Addiction
Disorder; senza trascurarne l’intensità, ha sostenuto che vengano svolti ulteriori
approfondimenti in merito a tale fenomeno.
L’lnternet Addiction
Disorder (IAD) si riferisce così ad un uso eccessivo di Internet (oltre le 40
ore settimanali), è spesso correlato a importanti problemi sociali e
relazionali ed è capace di generare veri e propri sintomi di astinenza: una persona,
che inizialmente avverte solo il bisogno di aumentare il tempo trascorso on
line, in una fase successiva non riesce più a sospendere, o quanto meno a
ridurre, l’uso di Internet e, quando tale uso incontrollato invalida la qualità
delle sue relazioni interpersonali, ne deriva un ritiro sociale, che va a compromettere
il suo “funzionamento” nell’area sociale, affettiva, lavorativa o sessuale.
Nonostante tali
osservazioni, come accennato più sopra, non c’è una definizione condivisa della
dipendenza da Internet in quanto non può essere considerata uno specifico
disturbo psichiatrico, ma un sintomo (o un insieme di sintomi) spesso correlato/i
a differenti quadri diagnostici e clinici aventi come matrice comune il mancato
controllo degli impulsi.
Nell’ultima parte
della mia intervista, vorrei citare un lavoro di ricerca compiuto insieme con
Selene Carbone nel 2012. Allora insegnavo Clinica Psicologica e Psicopatologia
Psicosomatica nella Facoltà di Psicologia dell’Università di Chieti. Il titolo
della ricerca è stato il seguente “Viaggio alla ricerca dell’identità” Processi
psicopatologici nell’adolescenza: Internet Addiction Disorder.
L’identità è un
compito centrale nella vita di ognuno di noi, che inizia nell’infanzia e si
conclude con il culmine della propria vita, ed ha un ruolo cruciale
nell’adolescenza, quale tappa fondamentale per lo sviluppo epigenetico che
compie un individuo. L’identificazione è necessaria per lo sviluppo sano della
persona sin dalla prima infanzia, si pensi al rapporto con la famiglia, da
sempre base sicura per l’individuo e cardine per la società; e al ruolo della
scuola, fondamentale per la costruzione di una rete sociale solida in cui fare
esperienza. Ma la provvisorietà dei valori che accompagna la nostra società non
sempre permette all’individuo di identificarsi con la famiglia o con i coetanei
per questo si ricercano nuove esperienze, il più delle volte al limite.
Gli adolescenti del
XXI secolo, tentano online di definire “chi sono”, utilizzando luoghi del tutto
nuovi, quali,Facebook, Twitter, Messenger, Instagram che sono stati collegati
ad esplorazione di identità.
Le accresciute
pratiche virtuali riducono le distanze, aumentano le informazioni e la
comunicazione tra molti, stimolano la creatività, rendendo l’esistenza
momentanea ed esaltando i valori “alla moda”. In questo contesto risulta
importante essere capaci di discernimento per potersi muovere tra le
ambivalenze della realtà e coglierne, più che sia possibile, la verità e il
senso, per dirla con Hegel “come una
rosa tra le spine”.
I Social Network,
secondo l’ipotesi dell’arricchimento sociale, sono utilizzati sia da coloro che
hanno una buona rete sociale e tendono ad arricchirla, sia da coloro che
percepiscono di non avere un’adeguata rete sociale e tendono a compensarla
attraverso quella online (Valkenburg et al. 2005). In entrambi i casi si tende
a mostrarsi con immagini di sé che fanno aumentare la popolarità o a migliorare
la propria autostima (Zywica, Danowski, 2008). Interessante nell’uso di
Facebook risulta la necessità di cambiare il proprio profilo in relazione a:
cambio di relazioni e di interessi, il che potrebbe far immaginare quanto sia
facile in rete presentare altre parti di sé e scoprire al tempo stesso se
stessi.
La rete consente
l’accesso e la condivisione in modo del tutto anonimo, dove il corpo non è
visibile e non incontra lo “sguardo dell’altro”, avendo l’opportunità di
rappresentarsi e di comunicare attraverso immagini e simboli, fino alla
presentazione di sé attraverso le foto. La modalità di comunicazione
prevalentemente utilizzata è quella scritta, che non consente di cogliere i
gesti, il tono, la postura, oltre a non esserci il turno di parole negli stessi
tempi della comunicazione.
La non immediata
visibilità consente, pertanto, di generare diverse identità, combinando segni e
immagini del tutto nuove, inducendo alla creazione di un corpo assente e
invisibile. Dunque, le persone che interagiscono in internet, attivano processi,
che compensano l’informazione mancante, che sono facilmente filtrati da
meccanismi di proiezione e attribuzione di senso, gratificando le aspettative
dell’individuo (Gamba,2009). Una delle aspettative è la possibilità
dell’apertura espressiva di parti di sé che nei contesti interpersonali sono
inibite. Il comportamento assume differenze significative in relazione al tipo
di comunicazione che si intraprende, vi è una maggiore apertura verso
l’interlocutore quando si tratta di mantenere rapporti amicali preesistenti,
mentre quando vi è un uso della tecnologia per conoscere nuove persone, si
tende ad esaltare aspetti di sé reali o ideali e a preservare la sfera emotiva.
Alcuni utenti usano
la rete per far luce su parti di sé sopite che una volta sperimentate e
consolidate utilizzano nella realtà, mettendo in atto una risposta efficace.
L’adolescente in
questa fase della sua vita si pone una domanda: “Chi sono io?”, alla quale non
sa fornire una risposta adeguata, per farlo è necessario che prima abbia fatto
esperienza nella società, evitando che il malessere esistenziale, la confusione
e la mancanza di fiducia in se stessi rendano l’individuo privo di un progetto
di vita. La fiducia verso il futuro appare così minore rispetto a quella verso
l’ignoto ed è più semplice affrontare il presente, anche nei suoi aspetti meno
familiari che le incognite future. E da questa fuga dal futuro, dalle relazioni
affettive, familiari e amicali, bisogna partire per ricostituire l’identità.
Il corpo nella
nostra epoca assume sempre più le sembianze di un corpo-oggetto o addirittura
di annichilimento della dimensione corporea, non curante dell’altro, del
rapporto intersoggettivo, insensibile, anestetizzato, in cui il corpo scompare
o meglio vive di vita propria. Proprio di quel corpo fondamentale per la
conoscenza, per un primo orientamento, per conoscere e per farci conoscere
(Buber, 1959).
Nella dipendenza da
internet emerge, infatti, la completa estraneità del corpo dell’altro, che si
trasforma in un altro virtuale, un altro che prende le sembianze di una
qualsiasi entità, di un espressione del pensiero, realizzando le istanze
narcisistiche che nella vita reale non trovano una propria collocazione. Ne
consegue una perdita dell’intersoggettività, perché nel cyberspazio l’incontro
con l’altro è mascherato e idealizzato secondo le mie istanze, i miei desideri,
che non trovano un argine, un confine nel materiale rapporto intersoggettivo,
finendo nello psicopatologico, nella depersonalizzazione e nella
derealizzazione, che conduce involontariamente ad uno stato di alterazione
della coscienza e perdita dell’abituale senso di identità personale, definita :
Trance Dissociativa da Video-terminale (Caretti, 2000).
Nella comunicazione
virtuale c’è la possibilità di esprimere e mettere a nudo parti di sé sopite,
il gesto del linguaggio e la sua vibrazione corporea cedono il posto agli
emoticons, attraverso i quali si cerca di esprimere emozioni, tono, impeto,
dialetto, grido e silenzi. Il corpo in questo modo appare mutilato, non compare
se non attraverso immagini attrattive di sé.
Nelle chat-rooms
assistiamo a relazioni che, per buona parte, si costruiscono nella mente di chi
le vive. L’immagine di sé viene distorta, attraverso il disegno di sé che più
collima narcisisticamente con i propri ideali. È molto forte la tendenza
dell’immaginazione a creare nell’interlocutore le parti “mancanti” che non
conosciamo. Questo tipo di conoscenza, on line, dà la falsa impressione di
poter entrare nel contatto intersoggettivo con un’altra persona, dove
scompaiono le incertezze e le frustrazioni che si riscontrano nell’incontro con
l’altro nella realtà. Domina la sensazione, spesso illusoria, di poter essere
compresi e di comprendere, di condividere le emozioni proprie ed altrui, solo
con il “click” di un mouse, generando il senso di vuoto e di angoscia.
In uno scenario interiore, in cui fa da
padrone il vuoto, le esperienze dissociative sono sempre più frequenti. La
derealizzazione e la depersonalizzazione, consistono nella sensazione di
percepire in maniera distorta il mondo esterno. Il mondo appare al soggetto
come privo di coloritura affettiva: anche gli ambienti familiari sono avvertiti
come estranei. I soggetti quando non riescono a far fronte a situazioni
stressanti, preferiscono percorrere un viaggio alla ricerca delle emozioni,
rischiando di rimanere intrappolati nella rete. Possiamo definire questo
“viaggio”, una fuga dagli imperativi e dalle aspettative della realtà, proprio
come quello che Gauguin operò. Il quale, perso nella confusione della società
odierna, si rifugia a Tahiti, un luogo incontaminato, dove poter ritrovare la
propria identità, ricostruendo il contatto con le emozioni primitive : “per
ritrovare la propria identità, bisogna rischiare di persona un viaggio a
ritroso in un luogo primitivo”.
Quindi, secondo
un’ipotesi alternativa, il ricorso patologico a determinati comportamenti, può
essere interpretato come tentativo di “sentire le emozioni”, tramite esperienze
eccitanti. I soggetti affetti da sindrome da dipendenza hanno difficoltà ad
esprimere, identificare o descrivere i propri vissuti emozionali e a
discriminare gli stati emotivi dalle sensazioni corporee sottostanti. Si
possono infine considerare tali forme di dipendenza come una strategia per migliorare la propria interazione
sociale, la cui scarsità sarebbe indotta dall’incapacità di capire l’altro ed
il Sé rispetto ad esso.
Nel corso di questi
anni, si sono moltiplicati i programmi
di prevenzione, diversificandosi progressivamente sia negli obiettivi che nelle
strategie.
Le strategie
d’intervento conducono a un progressivo coinvolgimento dei ragazzi, sia
nell’attuazione che nella progettazione degli interventi stessi.
Storicamente i
lavori di prevenzione della salute affidati agli esperti, facevano leva sulla
conoscenza, come se bastasse a modificare i comportamenti. Per questo,
l’esperto, è stato sostituito con figure durature nella vita di un adolescente,
come educatori, studenti più grandi (dispeer education) o coetanei come nella
peer education.
A livello di cura
delle dipendenze patologiche da internet si può citare l’esperienza del
Policlinico Gemelli di Roma, che ha istituito uno sportello di comunicazione
per i fruitori del web. L’approccio dell’ambulatorio alla dipendenza è
multidisciplinare, come l’integrazione degli interventi verso il paziente.
Il protocollo di
intervento è strutturato in tre passi:
1. Colloquio iniziale per confermare o meno
la diagnosi di dipendenza
2. Incontri successivi, per individuare la
psicopatologia sottostante
3. Inserimento in gruppi di riabilitazione,
al fine di “riattivare” un contatto dal “vivo” con gli altri e di conseguenza
esperienze autentiche di condivisione, senso del limite, capacità di attesa e
comunicazione non verbale.
Lo stare ore e ore
al computer non costituisce una malattia, ma il sintomo di un disturbo, di un’incrinatura
intima molto profonda, alla cui base c’è una carenza o affettiva o solo
comunicativa.
Il lavoro di aiuto quindi
è basato su una serie di colloqui individuali con uno psicologo atti a far
emergere piano piano il problema sottostante il sintomo, e poi attraverso una
riabilitazione “in team” si prosegue al recupero dell’emotività e dei rapporti.
Anche i genitori vengono sottoposti a colloqui, per un immediato recupero delle
motivazioni sottostanti.
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