martedì 30 dicembre 2014

Disturbi di Apprendimento Specifici e Non Specifici

Le prospettive sui Disturbi di Apprendimento

In questa premessa generale sui Disturbi di Apprendimento in età scolare si ripercorrono le tappe di ricerca verso la legge 170/2010.

I disturbi di apprendimento in lettura, scrittura, ortografia, calcolo e abilità logico-deduttive rappresentano uno dei problemi più rilevanti che si incontrano nella pratica clinica, poiché interessano una buona percentuale della popolazione scolastica (Sartori, La Spisa, 1979).
Una variabilità dal 3 al 5% è costituita dai disturbi specifici di apprendimento, cioè disturbi cronici e persistenti oltre la 3a classe della scuola primaria che interessano in maniera selettiva o in associazione fra di loro lettura, ortografia, scrittura e calcolo. 
Le difficoltà di apprendimento in età evolutiva sono suddivisibili in Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) e Disturbi Non Specifici di Apprendimento (DNSA).
Si parla di Disturbo Specifico di Apprendimento nel caso in cui il livello di una o più delle tre competenze, quali la lettura, la scrittura e il calcolo, nell’esecuzione di test standardizzati, risulta di almeno due deviazioni standard inferiore ai risultati medi prevedibili, oppure, nonostante una adeguata scolarizzazione, l’età di lettura e/o di scrittura e/o di calcolo sia inferiore di almeno due anni in rapporto all’età cronologica del soggetto, e/o all’età mentale.
I DSA sono legati a disfunzioni neuropsicologiche, isolate o combinate e sono denominati dislessia, disortografia e disgrafia, discalculia.
Nel DSM IV sono inquadrati nell'Asse I come Disturbi della Lettura, dell'Espressione Scritta e del Calcolo; nell'ICD-10 vengono inseriti all'interno dei disturbi dello Sviluppo Psicologico e sono denominati Disturbi Specifici delle Abilità Scolastiche: DS di Lettura, di Compitazione, delle Abilità Aritmetiche e DS misto (Chiarenza G. A., Cossu G., Loddo S., Penge R., Ruggerini C., Saccomani L.).
Si può quindi affermare che la difficoltà ad imparare a leggere e a scrivere è quasi sempre indicativa della presenza di una difficoltà specifica cioè di una difficoltà che riguarda alcuni processi o abilità e non tutti gli ambiti del funzionamento cognitivo.
Le manifestazioni del disturbo non devono essere secondarie a un ritardo mentale o a malattie neuropsichiatriche, infatti la diagnosi di disturbi dell’apprendimento non è appropriata, se le difficoltà sono attribuite a deficit sensoriale come un problema di vista o di udito.
In genere, per Disturbo Specifico di Apprendimento si intende la dislessia: difficoltà di lettura che possono essere classificate a seconda del tipo di compromissione espressa dai soggetti lungo il continuum di apprendimento tra le diverse fasi di sviluppo di lettura (Seymar, 1987).
I bambini con disturbo della lettura, o dislessia, hanno notevoli difficoltà a riconoscere le parole, a comprendere ciò che leggono e a scrivere correttamente. La lettura a voce alta è caratterizzata da omissioni, sostituzioni o distorsioni nella pronuncia delle parole.
Il disturbo dell’espressione scritta è caratterizzato dalla compromissione della capacità di comporre testi scritti.
Nel disturbo di calcolo è presente una difficoltà a riconoscere i simboli numerici e a seguire sequenze di passaggi matematici.

I Disturbi Non Specifici di Apprendimento sono caratterizzati, invece, da una compromissione nell’acquisizione di nuove conoscenze e competenze, estesa a più competenze scolastiche.
Possono causare Disturbi Non Specifici di Apprendimento: il Ritardo Mentale, il livello cognitivo borderline, l'ADHD, l'Autismo ad alto funzionamento, i Disturbi d'ansia, alcuni quadri Distimici.
Nel DSM IV e nell'ICD-10 è presente anche una categoria diagnostica denominata Disturbo di Apprendimento Non Altrimenti Specificato, per la quale è prevista l’esclusione di una eziologia che incide negativamente sull’apprendimento e che giustifica il quadro clinico (Chiarenza G. A., Cossu G., Loddo S., Penge R., Ruggerini C., Saccomani L.).


Il bambino con difficoltà di apprendimento


I disturbi di apprendimento e il disagio scolastico ad essi correlato, rappresentano problemi ad altissima frequenza di “segnalazione” durante la scuola primaria, nel momento cioè in cui il bambino è chiamato ad acquisire le basi di lettura, scrittura, calcolo e a orientare la sua energia psichica e mentale (sentimenti, emozioni, competenze intellettive) nella funzione “apprendimento”.
I disturbi di apprendimento appaiono di difficile analisi e interpretazione, in quanto implicano ipotesi appartenenti a diversi settori disciplinari, quali la neurologia, la neuropsicologia, la psicologia cognitiva, la psicologia dinamica, la psicopedagogia e pertanto costituiscono un esempio riguardo l’importanza di attenersi ad un’ottica unitaria per comprendere efficientemente la patogenesi dei malesseri o disturbi mentali.
Per i processi di apprendimento, come per qualsiasi altro processo, esiste una stretta interdipendenza tra patrimonio genetico, substrato organico, esperienza e apparato motivazionale piacere-soddisfazione, che influisce interferendo sullo sviluppo funzionale dei diversi sistemi.
Oggi si preferisce parlare di cause multifattoriali che implicano fattori maturativi, cognitivi, socioeconomici, emotivo-conflittuali, educativi.
Nei primi anni '70 la dislessia era intesa come manifestazione di una perturbazione nella relazione dell'Io con l'ambiente circostante, che invade selettivamente i campi dell'espressione e della comunicazione e che perciò si costituisce sul modello dell'ambiguità e dell'instabilità, bloccando il passaggio all'intelligenza analitica e con questo al simbolismo, necessario per l'acquisizione della letto-scrittura.
Alla base del disturbo dell'apprendimento c’è appunto il processo di acquisizione del linguaggio letto-scritto, che si "costruisce" lentamente, partendo dalle prime esperienze senso-motorie per giungere alle acquisizioni simboliche e comunicative più complesse.
Infatti un apprendimento insufficiente o tardivo di questi codici simbolici ostacola poi il bambino nel corso di tutto il curriculum scolastico, riducendo la possibilità di ricevere e rielaborare molti dei contenuti offerti dalla scuola.
Sono diversi gli studenti che nella loro carriera scolastica incontrano difficoltà nella lettura e purtroppo il loro disagio psicologico, con le loro reazioni e strategie di mascheramento, sono interpretate spesso come scarso impegno, pigrizia, svogliatezza. Il bambino con queste difficoltà viene spesso scambiato per un alunno poco motivato, discolo, poco attento e va incontro ad un susseguirsi di difficoltà, persino con le maestre che si lamentano della loro scarsa gestibilità.
Si osservano bambini in cui si alternano periodi di relativa stabilizzazione in cui gli apprendimenti scolastici risultano progressivamente integrati, a periodi di regressione in cui sembrano perdute le conoscenze acquisite in precedenza.
Alcuni bambini reagiscono alle loro angosce con l’isolamento: stanno in disparte mentre i compagni partecipano alle attività scolastiche, nulla sembra interessarli, sono distratti, silenziosi, non intervengono nelle discussioni per esprimere le loro opinioni; altri bambini invece reagiscono adottando comportamenti impulsivi: distruggono gli oggetti dei compagni, disturbano in continuazione per attirare l’attenzione su di sé, interferiscono nelle attività scolastiche proposte dagli insegnanti o esibiscono di proposito un linguaggio verbale provocatorio o di contrasto con l’educazione sociale.
È pertanto buona norma non ignorare eventuali campanelli d'allarme, quali la difficoltà ad applicarsi, a concentrarsi, fin dal primo giorno della scuola primaria.
La pigrizia fisica e mentale o l'incapacità di rimanere fermo al proprio posto potrebbero essere causati da una difficoltà di applicazione "alla base", dall'avere la mente distratta da altri "compiti" ritenuti prioritari piuttosto che eseguire quelli imposti dalle maestre.
Nella pratica clinica si riscontrano spesso bambini con uno sviluppo affettivo disturbato, in cui il sintomo predominante è l’angoscia che impedisce un adeguato investimento delle funzioni cognitive.
Le difficoltà di apprendimento nel corso del 1° ciclo della scuola primaria (1a-2a classe) sono spesso legate a fattori maturativi o a difficoltà di ordine spaziale, temporale, prassico o linguistico.
A volte tendono a riassorbirsi totalmente o in buona parte entro la fine del 1° ciclo, ma talora i disturbi persistono e si cronicizzano nel 2° della scuola primaria (3a-4a-5a classe).
Quando i bambini con difficoltà di apprendimento giungono all’osservazione clinica nel 1° ciclo, raramente presentano un quadro omogeneo, spesso anzi si presentano compromesse già più abilità o funzioni.
Si spiega così l’importanza di una valutazione globale che tenga conto degli aspetti affettivo-relazionali, cognitivi e neuropsicologici del soggetto.
I bambini con difficoltà di apprendimento hanno profili neuropsicologici e vivono momenti patogenetici differenti, per i quali è necessario un accurato ed approfondito studio del singolo caso, al fine di osservare in prospettiva di un intervento riabilitativo mirato, non soltanto le competenze ritardate o deficitarie, ma anche le strategie di compenso attivate e le effettive potenzialità del bambino.
Bisogna infatti considerare che questi aspetti e la rappresentazione del disturbo stesso, da parte del bambino, non assumono connotazioni statiche, ma si modificano nel tempo a seconda di diversi fattori maturativi.
Nella pratica clinica si possono distinguere varie forme di difficoltà di apprendimento, (nonostante si tratti di una semplificazione):
- difficoltà di apprendimento della lettura, scrittura e/o calcolo su base maturativa che tendono a risolversi spontaneamente, anche senza interventi specifici, entro la 1a classe o a metà della 2a classe della scuola primaria.
Questi bambini hanno per lo più ritmi e tempi di acquisizione inizialmente più lenti rispetto ai coetanei, oppure sono carenti delle competenze di base che possono essere acquisite durante la scuola materna, quando appunto questa non è stata frequentata.
- Difficoltà di lettura, scrittura o calcolo di tipo maturativi che tendono a risolversi entro il 1° ciclo della scuola primaria, ma richiedono interventi specifici. Questi bambini spesso presentano un inadeguato sviluppo delle funzioni interessate al momento del primo approccio con la lettura, un ritardo lieve nel padroneggiamento del linguaggio verbale, difficoltà relazionali, svantaggio culturale, disadattamento scolastico con difficoltà nell’appropriazione delle norme sociali imposte dalla scuola, difficoltà nella strutturazione dello schema corporeo, disturbi motori quali lentezza, impaccio nell’esecuzione dei movimenti fini, incoordinazione, scarsa concentrazione.
- Difficoltà specifiche in lettura, scrittura, ortografia, calcolo o logica, di tipo cronico e persistente che emergono dalla 1a classe e tendono a stabilizzarsi negli anni successivi, se non si interviene tempestivamente e appropriatamente.
- Difficoltà cognitive globali che condizionano l’apprendimento in tutti i settori in modo più o meno omogeneo. Essendo il linguaggio verbale, la lettura, la scrittura e il calcolo alcuni tra i più efficaci strumenti di comunicazione e di ragionamento, sono comprensibili, in un bambino con difficoltà di utilizzo di tali strumenti, la perdita di autostima, il disagio psicologico, le difficoltà relazionali e di adattamento sociale che si possono instaurare e divenire sempre più rilevanti fino a compromettere lo sviluppo armonioso della sua personalità, soprattutto durante l’età scolare (6-11 anni) che rappresenta una fase evolutiva di primaria importanza per il suo apprendimento scolastico e sviluppo cognitivo.
 


lunedì 29 dicembre 2014

Come rilevare il “Mal di Scuola”: il QMMS


Al fine di poter rilevare sul campo le sette dimensioni (vedi post del 20 dicembre, 2014), è stato elaborato uno strumento di indagine specifico il QMMS ossia il Questionario Multifattoriale sul Mal di Scuola di Salvatore Sasso et Al. E’ un test autosomministrabile per soggetti dagli 8 ai 20 anni ed è composto da 111 items  posti in forma positiva (n. 46) e negativa (n.65), che prevedono la valutazione attraverso una  scala Likert a 5 punti. E’ presente in due forme una per la scuola primaria e l’altra per la scuola secondaria di primo e secondo grado. I due questionari QMMS I e QMMS II variano solo per l’utilizzo del significato lessicale di alcune parole negli item, poiché i bambini della scuola primaria non hanno la stessa capacità lessicale dei ragazzi della scuola secondaria.  Gli items indagano diversi ambiti di vita dei bambini che possono riportare informazioni riguardo i loro vissuti a casa, a scuola e nel tempo libero. La scelta del questionario di tipo self - report, ossia un questionario in cui i soggetti devono rispondere riguardo se stessi, è stato scelto poiché il bambino è il miglior informatore di se stesso, quindi si è ritenuto che egli potesse rispondere meglio di un estraneo sui vissuti personali, sulle emozioni, sulle motivazioni interiori e sulle loro percezioni delle relazioni. Lo strumento ha come vantaggio quello di garantire l’anonimato dei soggetti che, in tal modo, si sentono liberi di parlare di sé senza timore. Ma, anche se le autovalutazioni sono relativamente semplici da somministrare ed i dati raccolti sono facili da analizzare, esse presentano un limite dato dal fatto che le autovalutazioni riportate dai bambini potrebbero essere soggette alla tendenza a dare una migliore impressione di se stessi, trascurando i reali comportamenti (Aureli, Bascelli, Camodeca, Di Sano, 2008). Lo strumento è composto da sette scale riguardanti le sette dimensioni precedentemente considerate. Per la composizione degli items è stato tenuto conto di tutte quelle ricerche nazionali ed internazionali che hanno sperimentato questionari nelle dimensioni prese in considerazione dagli autori del test. I test in questione sono: Hathaway S., McKinley C., 2003, Minnesota Multiphasic Personality Inventory 2, University of Minnesota Press, Minneapolis; Bracken B. A., 2003, Valutazione multidimensionale dell’autostima, Erickson, Trento; Ravazzolo C., De Beni R., Moè A., 2005, Stili Attributivi e Motivazionali, Erickson, Trento; Caprara G. V., Barbaranelli C., Borgogni L., 2000, Big Five Questionnaire, Organizzazioni Speciali, Firenze; Bracken B. A., 1993, Test Delle Relazioni Interpersonali, Erickson, Trento; De Beni R., Moè A., Cornoldi C., 2003, AMOS: abilità e motivazione allo studio: prove di valutazione e orientamento, Ericson, Trento.
 
 
 
 

sabato 20 dicembre 2014

CAD Skolè Prof. Salvatore Sasso : #Mal di scuola: analisi a 7 dimensioni

CAD Skolè Prof. Salvatore Sasso : #Mal di scuola: analisi a 7 dimensioni

#Mal di scuola: analisi a 7 dimensioni


L’ambiente scolastico può essere, dunque, un luogo stimolante, un campo di allenamento quotidiano dove ogni bambino o ragazzo inizia a conoscere e sperimentare molti aspetti della vita e di se stesso. Esso però, a volte, si trasforma in un teatro di timori, in una fonte di preoccupazioni e di un vero e proprio disagio e non sempre si tratta di banali capricci, ma di un problema molto più complesso a carattere multifattoriale, il quale richiede un approccio multidisciplinare integrato: il “Mal di Scuola”. Le sette dimensioni del mal di scuola sono state esposte in un articolo dal titolo “I comportamenti disfunzionali a scuola” di Salvatore Sasso (Psicologia e scuola, Giunti, Firenze, marzo-aprile 2011, 11-17) e sono:

1.      La gestione delle emozioni

Le emozioni e le relative manifestazioni affettive intervengono quando un cambiamento nell’ambiente non fornisce alla persona le strutture cognitive e operative che la mettono in grado di fronteggiare (Lo Iacono e Sonnino, 2008). Genitori ed insegnanti sviluppano una forte preoccupazione data dalle difficoltà di tipo emotivo o comportamentale che potrebbe emergere a scuola nei loro figli/alunni. Infatti,  l’eventuale difficoltà di questi ultimi nel gestire le proprie emozioni, di fronte ad un accadimento improvviso e imprevedibile, può ingenerare ansia, disagio, tristezza e paura anche attraverso la manifestazione di sintomi somatici.

 
2.      I processi di crescita e l’autostima

Questa dimensione fa riflettere sui sentimenti che i bambini o i ragazzi hanno nei confronti di se stessi come persone. È proprio negli anni della scuola che si iniziano a prendere in considerazione i processi legati all’autostima, progettando attività per insegnare agli alunni ad essere consapevoli delle qualità che essi possiedono. L’autostima, infatti, scaturisce dai risultati delle nostre esperienze confrontati con le aspettative ideali. È proprio la discrepanza tra il Sé percepito e il Sé ideale che crea problemi di autostima. Un alunno con alti livelli di autostima saprà tanto riconoscere realisticamente le proprie carenze e i propri difetti, quanto mettere in atto strategie per migliorare le proprie aree di debolezza, apprezzando, nello stesso tempo, i propri punti di forza. Per converso, un alunno con un basso livelli di autostima riconoscerà esclusivamente le proprie debolezze trascurando i punti di forza.


3.      Gli stili attributivi e motivazionali

Ogni alunno, di fronte a un successo e maggiormente di fronte ad un insuccesso, cerca di dare delle spiegazioni a quello che gli accade, sia nella vita quotidiana sia per quanto riguarda l’apprendimento scolastico. La riflessione appena esposta risponde al bisogno di capire il mondo e le sue regole, attribuendo spontaneamente delle cause a quello che succede. Weiner (1985) ritiene che siano quattro le cause principali a cui in genere si attribuiscono successi e fallimenti e sono l’abilità, lo sforzo, la difficoltà del compito e la fortuna, che a loro volta vengono riferite a tre dimensioni psicologiche: il locus of control (Heider, 1958), la stabilità e la controllabilità. Per quanto riguarda l’apprendimento scolastico, lo stile attributivo più funzionale per raggiungere risultati positivi risulta essere quello che riconosce l’importanza dell’impegno (Ravazzolo et al., 2005). Chi attribuisce i propri successi a cause controllabili, come l’impegno insufficiente, è più motivato al successo, persevera maggiormente nel portare a termine i compiti complessi e riesce ad ottenere prestazioni di memoria migliori dopo l’insegnamento e l’applicazione di strategie, mentre chi attribuisce i propri successi o insuccessi prevalentemente a cause esterne, al di fuori del proprio controllo, si impegna poco nei compiti cognitivi ottenendo prestazioni basse.


4.      La coscienziosità

La coscienziosità è definita nel dizionario della lingua italiana Devoto-Oli (edizione 2003) come “attenzione e diligenza perfino meticolosa, coscienzioso è colui che è scrupoloso, attento che dimostra massima diligenza, impegno, serietà, che non trascura alcun dato”. La coscienziosità, quindi, è una dimensione che risulta un valido predittore del successo scolastico, poiché alunni che manifestano tratti associati con l’affidabilità, la precisione e la persistenza generalmente rendono meglio di coloro che non mostrano tali tendenze comportamentali. Gli studenti coscienziosi, infatti, appaiono più organizzati, affidabili e costanti.

 
5.      L’apertura mentale

L’apertura all’esperienza si configura come un importante predittore della capacità di apprendimento nella fase di formazione e si correla fortemente con il successo scolastico, con l’intelligenza, con la creatività e con la curiosità intellettuale. Le persone più curiose e con maggiore apertura mentale all’esperienza mostrano un atteggiamento più positivo verso l’apprendimento e ciò potrebbe spiegare il loro successo nella formazione.

 
6.      Le relazioni interpersonali

Come già evidenziato nel precedente paragrafo, la scuola non rappresenta esclusivamente un’istituzione deputata all’apprendimento e all’acquisizione di abilità cognitive, ma anche  il luogo in cui il bambino o il ragazzo stabilisce importanti relazioni con i pari e con l’adulto. L’insegnante all’interno della classe svolge una varietà di funzioni interconnesse: si occupa della preparazione didattica, di trasmettere contenuti culturali, di favorire lo sviluppo di abilità generali di ordine cognitivo nei propri alunni, mantiene la disciplina, organizza gruppi di lavoro, valuta i risultati conseguiti da ciascuno nell’apprendimento, si propone come figura di riferimento. Quando l’insegnante e gli alunni e quest’ultimi tra loro, interagiscono e condividono spazi e risorse, si vengono a creare le condizioni affinché si stabilisca una relazione interpersonale stretta. Una relazione positiva insegnante – alunno costituisce un importante punto di forza, perché oltre a favorire lo sviluppo cognitivo, fornisce un importante supporto emotivo.


7.      La metacognizione e le abilità di studio

Studiare è un’abilità molto complessa che implica una serie di capacità e processi cognitivi, nonché la conoscenza e l’uso di varie strategie e comportamenti finalizzati allo studio, che non sempre vengono prese in considerazione nella scuola. Al contrario e, in parte, erroneamente viene dato solamente rilievo al risultato complessivo finale. La parola “metacognizione” ha, perciò, due significati diversi: uno indica la conoscenza che il soggetto ha del proprio funzionamento cognitivo e di quello degli altri; l’altro, di più recente scoperta, indica i meccanismi di regolazione o di controllo del funzionamento cognitivo. Il primo aspetto fa riferimento alle idee che un individuo possiede circa il funzionamento della sua mente e coinvolge la meta-memoria. I processi cognitivi  di controllo rinviano, invece, alle attività che presiedono al funzionamento della nostra mente.



martedì 16 dicembre 2014

# Mal di scuola





L'andare a scuola si configura come la sfida cognitiva e motivazionale più impegnativa che i bambini si trovano a dover affrontare nella loro crescita (Bandura 1995).                                                         


La scuola, così come l’insegnamento, d’altro canto, ha una grossa responsabilità, quella di lavorare con una delle più straordinarie risorse dell’uomo: l’intelletto umano. Oltre a fornire, evidentemente, la giusta educazione e formazione ai propri allievi, l’ingresso del bambino all’interno dell’ambiente scolastico rappresenta la prima reale esperienza di socializzazione e, cosi come accade per gli adolescenti, lo stesso ambiente risulta, inevitabilmente, un ricco contenitore di competizione interpersonale che influenza il futuro successo o fallimento scolastico.                                       

Bambini e ragazzi, arrivano a scuola con una loro “valigia” piena di vissuti e storie che man mano si dipanano e prendono orientamenti diversi. Nella classe, dunque, emergono difficoltà  e disturbi che vanno osservati, compresi, sostenuti attraverso interventi mirati all’inclusione di tutti gli alunni (Sasso, 2010). Gli anni della scuola rivestono, pertanto, per lo studente un ruolo primario nel suo processo di crescita, mettendolo di fronte ad una serie di compiti di sviluppo con i quali dovrà misurarsi. I problemi che gli studenti incontrano nell’ambiente scolastico possono, per questi motivi, essere il segnale di un malessere affettivo e relazionale, che si può manifestare con disimpegno, iperattività, difficoltà di apprendimento, difficoltà di attenzione e concentrazione, rendimento scolastico inferiore alle capacità reali e difficoltà di relazione e comunicazione con i propri compagni ed insegnanti. In questi termini, il disagio scolastico può essere considerato un malessere psicologico al quale possono contribuire in maniera decisiva tanto gli insuccessi scolastici quanto la mancanza di riconoscimenti positivi da parte dei compagni e degli insegnanti, che  concorrono a minare il livello di autostima e di fiducia nelle proprie azioni. È doveroso ricordare che le difficoltà del bambino a scuola e le difficoltà della scuola con i bambini sono due dimensioni da mettere in prospettiva reciproca, al fine di non trovarci davanti o soltanto al bambino “patologico” o solamente davanti ad una scuola “disadattante”, non accogliente e non inclusiva. La scuola, dunque, risulta una realtà alquanto complessa nella quale si incrociano le abilità cognitive, la capacità di impegnarsi nello studio, le relazioni affettivo - emozionali degli alunni. Tutti questi elementi possono risultare instabili o comunque scossi da vicissitudini ed esperienze di vario genere tanto che gli insegnanti sperimentano l’incapacità di svolgere compiutamente il proprio ruolo educativo. Occorre precisare che non esistono bambini “cattivi” o “malati”, ma solo relazioni disfunzionali (comportamenti che nella relazione non funzionano nel modo migliore) che possono rendere difficile il processo di apprendimento (Sasso, 1997). È necessario focalizzare l’attenzione non esclusivamente sull’alunno ma sulla rete di rapporti e relazioni in cui egli vive, sulle modalità di comunicazione e relazione con le altre figure adulte, come i genitori che possono mettere in atto soluzioni a problemi che, invece di risolvere, contribuiscono involontariamente a mantenere. Da ciò nasce la definizione di “Mal di Scuola”, la quale si riferisce a tutte quelle situazioni di difficoltà e di disagio che gli alunni manifestano proprio a scuola, non di certo ad ipotetici effetti deleteri prodotti dall’istituzione scolastica. Occuparsi del “Mal di Scuola” significa, quindi, procedere alla disamina delle possibili conseguenze  che il disagio scolastico può apportare alla sfera emotivo- affettiva, relazionale e metacognitiva dell’alunno, con sintomi a carico dell’apparato gastrointestinale e/o respiratorio, del sonno, della pelle e disturbi somatopsichici che possiamo correlare al senso di apatia, all’iperattività e ai disturbi dell’apprendimento. Molte volte i bambini che vivono un disagio non lo dicono apertamente, ma lo esprimono attraverso l'alterazione delle loro funzioni corporee, come il blocco dell’evacuazione delle feci, il mal di testa, gli incubi notturni. Di solito non c’è un solo sintomo isolato, ma spesso sono presenti più episodi insieme. Il corpo si ammala perché la mente soffre. La psicosomatica è proprio quella branca della medicina che si occupa di disturbi organici che, non rilevando alla base una lesione anatomica o un difetto funzionale, sono ricondotti a un’origine psicologica (J.C. Heinroth, 1818).  Attraverso il QMMS (Questionario Multifattoriale sul Mal di Scuola), ideato da S. Sasso et Al (2006) si è voluto indagare sui fattori principali che conducono gli alunni a situazioni di malessere e difficoltà di apprendimento. Nel prossimo post verranno descritte le sette dimensioni studiate per comporre il Questionario.

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sabato 13 dicembre 2014

Tuo figlio potrebbe essere dislessico? Dalla conoscenza all'osservazione con test veloci a 6 anni, 6 anni e mezzo, sette anni


1. Che cos'è la dislessia?

La dislessia è definita come un problema che si presenta nei bambini con un normale livello di intelligenza che hanno difficoltà nella lettura, nella scrittura e nei calcoli.  L'Associazione Europea della Dislessia (EDA) la definisce come segue: "la dislessia è una differenza nell’acquisizione e nell’uso delle abilità di lettura, di ortografia e di scrittura ed è di origine neurologica". Con il termine neurologico s’intende che è un problema interno all’individuo e non può, quindi, dipendere da un fattore esterno come la carenza dell’insegnamento o l’assenza di scolarizzazione. 

 
2. Quali sono le cause della dislessia?

Studi recenti hanno dimostrato che la dislessia è, nella maggior parte dei casi, determinata geneticamente. Attualmente è stato scoperto che i cromosomi 1, 2, 3, 6, 15 e 18 influenzano indirettamente le capacità di scrittura, lettura e calcolo.

 
3. Come identificare la dislessia?

Se in un bambino intelligente si riscontra una difficoltà nell'apprendimento della scrittura, della lettura e/o del calcolo, dovrebbe essere presa in considerazione una visita o un consulto da uno specialista. Questi bambini riescono a sostenere l'attenzione quando sono occupati in altre attività, ma quando devono leggere, scrivere o fare calcoli matematici, dimostrano deficit nell'attenzione, riluttanza e incomprensioni.

 
4. Quando si parla di dislessia?

Parliamo di dislessia quando i bambini riscontrano problemi nella lettura e nella scrittura, causati da una diversità della percezione dei sensi.

 
5. Un bambino è sempre dislessico quando ha problemi di lettura, scrittura e calcolo?

Esistono ragioni differenti che portano a problemi di lettura, scrittura e/o calcolo. Per quanto riguarda la dislessia/difficoltà specifiche di lettura e scrittura, si parla di dipendenza genetica sullo stato. Per superare questa condizione occorrono trattamenti specifici e per un lungo tempo.
La differenza tra la condizione della dislessia e le difficoltà della lettura, scrittura e/o calcolo è molto importante. Con l’individuo dislessico si lavora sul miglioramento dell’acuità sensoriale che è necessaria per le abilità di apprendimento, lo sviluppo dell’attenzione e l’unificazione del pensiero e dell’azione. Non tutti i bambini che hanno problemi di lettura, scrittura e calcolo sono dislessici.

 
6. Quando è possibile individuare la dislessia?

Si può stabilire lo stato di dislessia nei primi anni della scuola primaria. Durante il periodo prescolastico esistono dei sintomi che dovrebbero avvertire i genitori della possibile difficoltà di apprendimento nel bambino. Attraverso il lavoro educativo, questi problemi vengono per la maggior parte risolti, e il bambino dimostra di avere eccellenti risultati scolastici.

 
7. Chi diagnostica la dislessia?

Neuropsichiatri Infantili, psicologi, Logopedisti, team di esperti in centri specializzati.

 
8. A chi si rivolgono i genitori per chiedere un supporto?

I genitori possono rivolgersi a Neuropsichiatri Infantili, psicologi, insegnanti specializzati, logopedisti e terapisti. È molto importante il lavoro di gruppo composto da figure professionali appropriate per il miglioramento del bambino dislessico e il coinvolgimento attivo dei genitori. L’incoraggiamento del bambino comincia a casa con il supporto, la comprensione, la pazienza e l’amore da parte dei genitori.

 

TEST VELOCI SULLE PRINCIPALI DIFFICOLTÀ       RISCONTRABILI A 6 ANNI, 6 ANNI E MEZZO, 7 ANNI


(I test sono creati dal FNCD-Bulgaria su materiali del EODL Austria e sul Metodo AFS della Dr. Astrid Kopp-Duller)

 

6 ANNI


 
No
Individua somiglianze e differenze
 
 
Individua la sequenza tra sette immagini, scambiate tra di loro
 
 
Individua tre coppie di parole e il collegamento generale tra di loro
 
 
Compone frasi grammaticalmente corrette
 
 
Distingue sinistra e destra
 
 
Si tiene in equilibrio su una gamba per più di  dieci secondi
 
 
Afferra la palla
 
 
Colpisce ripetutamente una palla
 
 
Disegna forme senza interrompere il segno
 
 
Canta la sua canzone preferita
 
 

Se più di cinque caratteristiche, all’interno del test specifico per ogni età cronologica, hanno la risposta Sì, allora il bambino avrà bisogno di una diagnosi ulteriore.

 
ANNI E MEZZO


 
No
Individua gli errori tra due immagini
 
 
Scrive lettere e numeri
 
 
Ricorda la sequenza di cinque parole ascoltate
 
 
Mette parole in rima
 
 
Ritaglia forme con precisione
 
 
Riconosce la lettera iniziale e finale di una parola
 
 
Segue il giusto percorso in un labirinto
 
 
Torna indietro con facilità
 
 
Afferra con facilità una palla da tennis
 
 

Se più di cinque caratteristiche, all’interno del test specifico per ogni età cronologica, hanno la risposta Sì, allora il bambino avrà bisogno di una diagnosi ulteriore. 

7 ANNI



 
No
Ricorda la sequenza di sei numeri
 
 
Riconosce tra dieci parole quella che viene ripetuta
 
 
Ricorda la sequenza di cinque battute ritmiche
 
 
Traccia la figura geometrica su un modello
 
 
Sale con un solo piede su un piccolo ostacolo
 
 
Lancia una palla a più di 80 cm di altezza e la riafferra con facilità
 
 
Trasporta un peso sulle spalle e lo tiene in equilibrio con abilità
 
 
Descrive le parti del corpo
 
 
Riconosce il tempo / un’ora, le parti del giorno, la settimana,  i giorni della settimana,  i mesi/
 
 
Riconosce un quarto e la metà di un oggetto
 
 

Se più di cinque caratteristiche, all’interno del test specifico per ogni età cronologica, hanno la risposta Sì, allora il bambino avrà bisogno di una diagnosi ulteriore.