lunedì 29 maggio 2023

Riflessioni sul Corso di alta formazione “AUTISMI” Istituto Cartesio, ANAPIA di Salvatore Sasso e Federico Magnani

 



L’idea del corso nasce dall’esigenza di fornire, oltre alle conoscenze teoriche, cliniche e storiche della sindrome dello spettro autistico, un’esperienza condivisa che volga lo sguardo agli aspetti relazionali ed emotivi che coinvolgono bambini, bambine, giovani con autismo e le figure educative. L’ idea che dietro la diagnosi ci sia un individuo con la sua storia, il suo temperamento e i suoi vissuti, ci motiva a indagare le dinamiche dei funzionamenti evolutivi collegati all’attaccamento, alle emozioni e all’ambito socio-relazionale, cosi da aprire un varco nelle barriere che questo disturbo crea.

Il corso da poco svolto si articola in 7 moduli, ognuno con un argomento specifico di pertinenza e legati tra loro da un comune filo conduttore.

L’ obiettivo del corso è stato quello di fornire ai partecipanti (insegnanti, insegnanti di sostegno, educatori, genitori) le conoscenze legate alle modalità di intervento, alla natura dei comportamenti, ai metodi e alle strategie necessarie a lavorare sulle diverse aree di competenza, dall’apprendimento didattico alle competenze sociali, cognitive e relazionali. In particolare uno sguardo è stato rivolto alla natura dello sviluppo psico-emotivo, quelle basi evolutive che attraverso l’esperienza relazionale e l’attaccamento, determinano lo sviluppo dell’individuo.

Crediamo che in questo campo l’esperienza vissuta sia la prassi efficace dell’apprendimento. In questo senso si è voluto fare del corso un’esperienza in cui la partecipazione, l’interazione e le tematiche condivise con i corsisti hanno permesso di indagare i temi più pertinenti rispetto ad un intervento educativo autentico, così da fornire una visione di insieme rispetto ai bisogni specifici dei bambini e dei giovani con i quali scegliamo di confrontarci e incrementare gli strumenti che consentono di capire e sintonizzarsi con quest’ultimi.

Il corso ha fornito così una visione più ampia rispetto alla patologia e ai suoi funzionamenti, con l’obiettivo di creare una consapevolezza non solo verso chi riceve l’intervento educativo, ma anche verso chi si prepone di attuarlo.

Le relazioni che si sono sviluppate durante il corso hanno, pertanto, messo in evidenza come sia stata fondamentale la costruzione del gruppo di insegnamento/apprendimento. Nonostante le lezioni si siano svolte in modalità a distanza, attraverso le strategie utilizzate sulla piattaforma Zoom – le stanze di lavoro – le persone hanno avuto modo di conoscersi e confrontarsi, in maniera esperienziale in coppia, nel piccolo gruppo e nel grande gruppo, su tematiche attinenti la loro parte emozionale.

La costituzione di un “ambiente protetto” ha permesso a tutti gli attori presenti, non tanto di raccontare un fatto accaduto ma soprattutto di elaborarlo sotto la guida pedagogica e psicologica dei conduttori. Ognuno ha potuto così mettere in evidenza le sue fragilità.

Come detto in precedenza, le conoscenze teoriche hanno funzionato da supporto per formulare un progetto innovativo.

In conclusione, non esiste una patologia ma delle relazioni che spesso sfuggono per la difficoltà, a livello istituzionale-sanitario, per la cui condivisione è necessaria la creazione di una struttura di mediazione che svolga il ruolo sinergico di incontro delle varie esperienze e di confronto strategico sul territorio, mettendo in relazione le famiglie, la scuola e le strutture socio-psico-pedagogiche.



 

 

I benefici della pratica della Mindfulness: un approccio consapevole della persona alla vita di comunità di Salvatore Sasso e Gina Filippi



Nel parlare dei benefici della pratica della Mindfulness, seguirò un percorso che cercherà di mettere a fuoco, da una parte, la Mindfulness propriamente detta e dall’altra, tutto ciò che la accomuna alla ricerca in neuropsicosomatica.

Il primo beneficio è sicuramente quello che riguarda lo sviluppo della qualità della vita di una persona.

Secondo Mariarosaria De Simone (2017), che in suo saggio ripercorre l’utilizzo della Mindfulness in campo formativo, quando parliamo di Mindfulness dobbiamo vedere tale lemma come suddiviso, nella lingua inglese, in mindful e awareness. Il riferimento alla lingua Pali del Buddhismo Theravada è la parola Sati, ossia l’attenzione consapevole.  Per raggiungere la felicità non dobbiamo affidarci se non a noi stessi.

Nella tradizione occidentale, il fondatore del protocollo più utilizzato a livello clinico è quello di Jon Kabat-Zinn: MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction), 1979. Nel libro “Dovunque tu vada, ci sei già. Una guida alla meditazione” (Trad. It. Ed. TEA, 2006) Jon Kabat-Zinn sostiene che il processo della Mindfulness inizi come la consapevolezza del porre attenzione al momento presente, nel qui ed ora, mediante la sospensione del giudizio. La sua idea riguarda soprattutto il prestare attenzione in modo intenzionale, attimo dopo attimo. È anche vera l’impossibilità di eliminare qualsiasi tipo pensiero. Semmai la competenza che si sviluppa riguarda il divenire consapevoli che sono soltanto i nostri pensieri e non una riverberazione di quanto avviene nel contesto fuori di noi. Quindi non si tratta di una empty mind, una mente vuota, ma una mente fluttuante che non deve lottare per bloccare i propri pensieri, altrimenti tale lotta/fuga aumenterebbe il livello quantitativo di stress. La tecnica meditativa è centrata sull’ascolto attivo e profondo di se stessi: lasciandoci andare il nostro corpo modifica il respiro, risultando come il segnale di un disagio. La pratica della Mindfulness ci permette di affrontare quegli ostacoli che compromettono il rapporto con gli altri e soprattutto con noi stessi.

Il monaco buddista vietnamita Thich Nhat Hanh nel rispondere nel 2014 alla domanda: Come faccio ad amarmi? Risponde: “Prima di tutto inspiri consapevolmente, e diventi consapevole di avere un corpo, inspirando so di avere un corpo. Il corpo è una parte di te molto importante: Trascorri due ore al computer, sei stressato e non sai come fermarti… e ti dimentichi completamente di avere un corpo durante queste due ore. Stai cercando qualcosa nel futuro, nel lavoro mentre il tuo corpo soffre. Allora il primo atto d’amore è ispirare e andare a casa nel tuo corpo. Inspirando so di avere un corpo. Ciao corpo! Sono a casa! Mi prenderò cura di te! Così essere consapevoli del corpo è l’inizio dell’amore. E quando la mente è la casa del corpo, mente e corpo si trovano nel qui ed ora. E probabilmente noti due cose con la pratica della respirazione consapevole: La prima cosa che noti è che il tuo corpo è una meraviglia, devi riscoprire che il tuo corpo è una meraviglia. Biologi e altri hanno cercato di capire il corpo, che è un capolavoro del cosmo. Il corpo è una meraviglia! Il tuo corpo è il seme della coscienza, della coscienza del cosmo. E tu non sai il valore del tuo corpo! Il corpo contiene tutte le informazioni sulla storia del cosmo. In ogni cellula del tuo corpo puoi riconoscere la presenza degli antenati, non solo gli antenati umani, ma anche gli antenati minerali, vegetali e animali. E tutti i tuoi antenati sono vivi nel tuo corpo con la loro debolezza e la loro forza. Forse hai dato per scontato di avere un corpo, ma è una meraviglia! Il tuo cervello, la neocorteccia, è un tipo di organizzazione molto sofisticata. Il cosmo si è riunito per produrre questa meraviglia che è il tuo corpo e se tu sai come entrare in contatto con il tuo corpo puoi entrare in contatto con l’intero cosmo, con i tuoi antenati e anche con tutte le generazioni future che sono già dentro al tuo corpo per manifestarsi in futuro. Sei capace di apprezzare quella meraviglia che è il tuo corpo? La Madre Terra è in te non sotto di te o intorno a te, ma anche dentro di te. E anche il Padre Sole è in te, tu sei fatto di luce del Sole: sei fatto di aria fresca, di acqua fresca. Essere consapevole e dare valore a questa meraviglia può già portarti molta felicità. Ispirando so di avere un corpo e puoi godere nell’avere quel corpo. E puoi entrare in contatto con la storia della vita, in contatto con i tuoi antenati. Il tuo corpo contiene tutte le informazioni riguardanti il cosmo. E questo tipo di consapevolezza può portare guarigione, può portare nutrimento”. Al maestro zen la domanda gli era arrivata dalla sua pagina Facebook. L’intervista si trova al seguente indirizzo con la traduzione è di Carla Ceolato: https://www.youtube.com/watch?v=9TEo6foMwRk in Zen in the City.

Nel citare ancora Jon Kabat-Zin, mediante un piccolo brano tratto dal libro “Dovunque vada ci sei già. In cammino verso la consapevolezza (Trad. it. Ed. Corbaccio-Garzanti 2017, p. 15), possiamo comprendere come la consapevolezza non escluda il contatto con la realtà: “La consapevolezza è un’antica pratica buddista che riveste un profondo significato per la nostra vita attuale. Questo significato non ha alcuna relazione con il buddismo in sé o la conversione al buddismo, ma riguarda tutto ciò che si riferisce al prendere coscienza e vivere in armonia con se stessi e il mondo intero. Comporta l’autoindagine, la messa in discussione della nostra visione del mondo, della posizione che vi occupiamo e l’apprezzamento della pienezza di ciascun momento della nostra esistenza. Soprattutto riguarda il mantenimento del contatto con la realtà”.

Possiamo sintetizzare, attraverso una rappresentazione, i benefici della pratica della Mindfulness che coinvolgono la qualità della vita di una persona:




Gli effetti della pratica della Mindfulness hanno indirizzato molte ricerche, anche a livello clinico, constatando come essa sia efficace ai fini della riduzione di disturbi e di sintomi fisici e psichici con benefici delle persone “sofferenti”. Gli ambiti di intervento riguardano le malattie gravi e croniche, dalla sclerosi multipla (R. Wanden-Berghe, J. Sanz-Valero, C. Wanden-Berghe , 2011), ai disturbi depressivi (A. Hughes-Morley, B. Young, W. Waheed, N. Small, P. Bower, 2015).

Vedremo più avanti in che modo sia possibile intervenire nei contesti educativi affinché si possa lavorare per migliorare:

1.       L’ascolto attivo;

2.       L’empatia;

3.       La comunicazione nel gruppo dei pari;

4.       La comunicazione tra educatori e alunni;

5.       La concentrazione e l’attenzione;

6.       Gestione dello stress in classe;

7.       Le modalità di regolazione delle emozioni, riconoscendole ed elaborandole;

8.       L’intelligenza emotiva;

9.       Gli apprendimenti.

In linea generale, seguendo la ricognizione della ricerca operata da Maria De Simone (2017), le tematiche che riguardano i contesti formativi sono state affrontate in un tempo più ravvicinato rispetto a quanto ha riguardato la ricerca clinica.

In America, pedagogia e Mindfulness hanno costituito quello che è stato definito come un movimento dedicato alla pedagogia contemplativa, i cui processi formativi sono sostenuti da una filosofia formativa finalizzata ad apprendimenti di tipo esperienziale mediante “pratiche di meditazione, consapevolezza e compassione per se stessi e gli altri”. Si tratta di una filosofia che vede l’educazione come uno sviluppo integrato della persona nella società (p. 101). Le ricerche hanno messo in luce come i benefici della pratica della Mindfulness abbiano dei riflessi “nell’attenzione, nella creatività, nell’apertura mentale, nella capacità di tollerare l’ambiguità, nell’ascolto, nell’accettazione di pensieri ed emozioni negativi”, favorendo benessere psicologico (102). L’obiettivo principale è la formazione di studenti che fanno parte di una società inclusiva, insieme agli apprendimenti classici fatti di conoscenze, abilità e competenze.

Si inizia dalla scuola del’infanzia fino all’università. Vedremo successivamente, in maniera più approfondita  anche il Progetto Gaia, con relativo Protocollo di Mindfulness Psicosomatica costruito, elaborato e testato presso il Villaggio Globale a Bagni di Lucca (LU), sotto la guida di Federico Montecucco.

Ritornando al contesto americano, le prime ricerche in età prescolare hanno evidenziato programmi volti alla promozione di comportamenti pro-sociali e di autoregolazione (Flook, Goldberg, Pinger e Davidson, 2015). Nell’ambito della scuola primaria, la proposizione di programmi di Mindfulness hanno messo in luce un “aumento dell’attenzione e della consapevolezza delle emozioni” (p. 102). Interessante come, in un’esperienza svolta a Napoli, si sia notato un abbassamento sia del deficit di attenzione si di comportamenti iperattivi (Krech e Holley, 2005).

In una mia esperienza personale, attraverso il Protocollo di Mindfulness Psicosomatica, ho notato come bambini con ADHD, durante la fase di respirazione consapevole (Inspirazione e espirazione) si siano talmente rilassati da addormentarsi. Una nota di colore: la stessa reazione di forte rilassamento è accaduta anche agli insegnanti.

Ripercorrendo ancora l’excursus delle ricerche operato da M. De Simone (2017), vediamo come venga del suo articolo citato l’utilizzo da parte di Lee (2008) di un programma di Mindfulness di 12 settimane con bambini tra i 9 e i 12 anni.

Certamente le competenze metacognitive con la pratica tendono a migliorare: è il caso delle funzioni esecutive (Blair e Peters, 2003) e della elaborazione creativa delle informazioni (Jennings, 2008).

Altri interessanti suggerimenti posti nella ricerca bibliografica della De Simone (2017) riguardano un modello concettuale elaborato da Waters et al. (2014) per comprendere come la pedagogia contemplativa abbia, nel corso del tempo, organizzato la sua ricerca. Si tratta di quello che è stato definito come “School-Based Meditation Model”. I filoni della ricerca sono stati tre, mettendo a fuoco soprattutto le evidenze neuroscientifiche su alcune aree del cervello:

1.       La meditazione influenza e modifica la corteccia prefrontale, un’area dedicata alla concentrazione, all’attenzione e alla regolazione delle emozioni; inoltre permette lo sviluppo dei processi di  metacognizione, minore arresto dei meccanismi dediti all’attenzione, al miglioramento della memoria di lavoro e della funzione esecutiva, ossia il saper rilevare informazioni, la loro analisi, interpretazione e la presa delle decisioni. Quella che noi psicologi chiamiamo la pianificazione delle azioni mentali ed emotive.

2.     La meditazione influenza il miglioramento del funzionamento cognitivo in modo che gli studenti possano apprendere al meglio attraverso la regolazione dell’attenzione e della flessibilità cognitiva. Tale processo produce benessere, sviluppo di competenze sociali e una buona prestazione scolastica.

3.     La formazione, attraverso la pedagogia contemplativa, aumenta le competenze cognitive che includono la memoria di lavoro e la regolazione delle emozioni. Una delle variabili più studiata è stata l’attenzione. alcuni autori, citati da De Simone (2017), quali Baijal et al. (2011), hanno osservato come i risultati di un programma di meditazione seguito giornalmente da ragazzi fra i 13 e i 15 anni, rispetto ad un gruppo di controllo, abbiano rilevato livelli più alti rispetto all’attenzione e alla capacità di gestione dei conflitti. Le stesse ricerche sono state svolte anche in campo universitario con effetti positivi “sul sonno, aumento di concentrazione, chiarezza di pensiero e riduzione di idee negative” (p. 104).

Per concludere questa sezione sui contesti educativi, si può affermare come tutti i programmi relativi alla Mindfulness e svolti nei contesti educativi hanno avuto come focus lo sviluppo della competenza di riconoscimento e di gestione delle emozioni.

Arriviamo ora ad affrontare una seconda parte dell’articolo, utilizzando la mappa che segue (Sasso, 2020) come un ponte che unisce quanto detto finora. Un elemento nuovo che introdurremo sarà relativo al Sistema Psico Neuro Endocrino Immunologico (PNEI).

 


Il cambiamento di paradigma in molti campi delle scienze fisiche, umane e sociali è avvenuto sia per le ricerche sviluppate dalle neuroscienze sia dalla PNEI (Montecucco, 2018). Il primo che ha determinato tale termine è stato Thomas Khun (1962), volendo significare che l’interpretazione parte da un modello, ossia delle “soluzioni di problemi che la professione ha accettato come paradigma”. Questo conduce gli studenti ad un’educazione dogmatica, perché il processo è unidirezionale. La ricerca diviene pertanto molto riduzionista. Ma, a livello sociopsicologico, la ricerca non può essere sviluppata da individui isolati, anche se creativi, ma da gruppi che organizzativamente condividono idee ed elaborazioni (Bottaccioli et Al. , 2020). Questo punto di inizio ha provocato un cambiamento di paradigma nella comprensione della coscienza, delle emozioni e di tutti quei meccanismi che sono alla base dei disturbi psicosomatici (Montecucco, 2018).

La Psiconeuroendocrinoimmunologia si presenta come un nuovo paradigma, non riduzionistico in quanto l’organismo umano è un’unità strutturata e interconnessa, dove non esiste una contrapposizione tra mente e corpo, né tra medicina e psicologia, eliminando qualsiasi tipo di riduzionismo che vedeva il primato dell’uno o dell’altro (Bottaccioli et Al., 2020, p. 1).

Altri nuovi paradigma hanno segnato la storia della scienza. L’Epigenetica transgenerazionale, il cui fulcro è comprendere come la coscienza sia il maggior problema non risolto dalla biologia. Maturana nel 1970 afferma che la conoscenza è un fenomeno biologico, in quanto la vita, la conoscenza e la coscienza appartengono ai sistemi organici autopoietici. Infatti insieme a Varela aveva osservato come ogni essere vivente, mentre elabora le informazioni si può sia auto-organizzare sia auto-riparare, mantenendo la propria unità per l’apprendimento e per la coscienza. Le informazioni acquisite comportano il cambiamento dal genotipo al fenotipo. La transgenerazionalità significa che le memorie di conoscenze, esperienze ed emozioni si tramandino alle generazioni successive (Montecucco, 2018). Bottaccioli et Al. (2020) cita anche le ricerche di Waddington come paradigma alternativo a Francis Crick. In sostanza l’epigenetica mette in evidenza i cambiamenti adattivi di un organismo.

Altro cambio di paradigma è avvenuto nel campo delle neuroscienze. Nel 1963 il neurofisiologo Sir John Eccles è stato il primo ricercatore ad occuparsi del Sé e della coscienza. Anche il Nobel della medicina Gerald Edelman propone il concetto di Core Consciouness e di Dynamic network of Consciouness, ossia la rete neurale della coscienza (Montecucco, 2018).

Veniamo ora ad altri due paradigmi che ci toccano da vicino: La rivoluzione psicosomatica della PNEI e la rivoluzione della mindfulness.

Nel volume di Nitamo Federico Montecucco (Istituto di Neuropsicosomatica di Bagni di Lucca, 2018) viene datata l’inizio della rivoluzione psicosomatica della PNEI al 1964 quando George Salomon, che insegnava sia alla Standford University che in quella della California a Los Angeles, creò il termine di “Psychoimmunology”. George Solomon e Robert Ader hanno dimostrato negli animali che la tensione può danneggiare le funzioni immunitarie. Oggi immunologi, microbiologi ed endocrinologi stanno studiando questa relazione. Il cervello e il sistema immunitario comunicano in due modi principali: attraverso gli ormoni che il cervello regola e le fibre nervose che comunicano con le cellule immunitarie. La tensione estrema può alterare la funzione delle cellule immunitarie. Le alterazioni immunologiche possono essere associate ad aree di stress (M. Kemeny, 1995). La ricerca sullo stress ha rivelato relazioni tra cambiamenti neuroendocrini e immunitari. Parallelamente, la crescente evidenza di alterazioni immunologiche nelle malattie psichiatriche ha ampliato il campo; attualmente si ricercano i correlati immunologici delle malattie psicosomatiche e della personalità (M.Biondi, GD Kotzalisdis, 1990).

Nel 1975 sempre lo psicologo Robert Ader, insieme a Nicholas Cohen, hanno determinato il termine la “Psiconeuroimmunologia”.

L’ultimo punto dei nuovi paradigmi riguarda la rivoluzione della Mindfulness, come abbiamo visto già sopra, sviluppata negli Stati Uniti da Jon Kabat-Zinn.

Non possiamo in questa sede descrivere in maniera particolare tutti i processi che contraddistinguono la Mindfulness Psicomatica.

Quello che ci può interessare in particolar modo è come gli studi internazionali di neuroscienze, di psicologia e di ricerca sui comportamenti animali e umani, abbiano osservato undici principali ormoni e neurotrasmettitori che hanno un evidente e profondo effetto psicosomatico sulla salute dell’essere umano: la serotonina, il cortisolo, l’adrenalina, la noradrenalina, il testosterone, gli estrogeni, la vasopressina, l’ossitocina, la prolattina, la dopamina e l’endorfina. Se guardiamo la nostra mappa, possiamo osservare che lo stress e la depressione li esaltino tutti e che la loro diminuzione assoluta è data dalla pratica della Minfulness. La meditazione, attraverso il respiro consapevole, non provoca il rilassamento, ma come afferma Bottaccioli (2020) è una sorta di “allerta rilassata”.

Avendo come punto focale il nostro Sé, possiamo aggiungere più precisamente che:

       La diminuzione degli ormoni dello stress è data dalla diminuzione del cortisolo e dell’adrenalina;

       L’aumento degli ormoni del benessere viene fornito dall’aumento delle endorfine;

       L’aumento degli ormoni dell’affettività è data dall’aumento dell’ossitocina;

       L’aumento degli ormoni che riducono la depressione è la conseguenza della serotonina e della dopamina;

       La riduzione delle citochine previene le infiammazioni;

       Il miglioramento della pressione sanguigna e dell'attività cardiaca è dato dall’adrenalina;

       Il miglioramento del sistema immunitario è conseguenza del basso livello di cortisolo;

       La diminuzione della tensione muscolare e nervosa è data dal basso livello di adrenalina e noradrenalina.

La metodologia, seguendo le indicazioni formative dell’Istituto di Neuropsicosomatica del Villaggio Globale di Bagni di Lucca, deve considerare innanzitutto l’integrazione tra la consapevolezza di sé, la consapevolezza emotiva e la consapevolezza corporea attraverso l’utilizzo del metodo birmano originario per la consapevolezza corporea che è il percorso dell'aria dall'alto verso il basso naso/pancia, contrariamente al metodo MBSR di Jon Kabat-Zinn dove la respirazione parte dal basso.

Nello schema sono inserite tutte le tecniche che vengono utilizzate:


Per esercitare la Mindfulness abbiamo due tipi di modalità (Ronald Siegel, Qui e ora. Strategie quotidiane di Miondfulness, Erickson, 2012):

1.     Pratica informale (Questa modalità non prevede un momento strutturato ma, al contrario, può essere messa in pratica in qualsiasi momento della giornata e in qualsiasi contesto. Ad esempio puoi decidere di mangiare e assaporare i cibi concentrandoti sui sapori; guardare un paesaggio concentrandoti sulle sensazioni non solo visive ma anche uditive; anche mentre si guida la macchina);

2.     Pratica formale (Consiste nel meditare in maniera strutturata almeno una volta al giorno, e richiede, pertanto, un allenamento quotidiano. Ciò che viene richiesto nella pratica formale mindfulness è rimanere concentrati sul respiro per un periodo di tempo ben definito (almeno 20 minuti).

Abbiamo due tipi di meditazione:

1.     Da seduti (È necessario assumere una postura dignitosa su una sedia o un panchetto da meditazione o a terra, all’occorrenza aiutati da un cuscino zafu. Il punto focale è l’attenzione, attorno alla quale ruota la presenza mentale che converge, all’inizio, sul respiro e sul corpo, fino alla consapevolezza aperta. La respirazione va osservata nella sua dinamica essenziale, così come si presenta, senza cercare di modificarla. Al contempo, il corpo va mantenuto nella posizione prescelta senza rigidità, assecondando un atteggiamento eretto e fiero, accettando i fastidi che insorgono e le limitazioni che ogni fisicità impone. Mentre si inspira e si espira, si può cavalcare il flusso della respirazione, momento dopo momento; se l’attenzione evade dal respiro, viene ricondotta a esso con gentilezza e semplicità, per tutte le volte che è necessario. È facile da mettere in pratica in qualsiasi momento e può essere utilizzata anche per pochi minuti: alla scrivania dell’ufficio, in metropolitana, mentre si studia o si affronta un esame, al ristorante, nel momento in cui si senta il bisogno di fare il punto, di raccogliersi, di gestire fatica e stress /Ronald Siegel, 2012).

2.     Mentre si cammina (Thich Nhat Hanh, nel suo libro “Camminare in consapevolezza”, 2017, ci invita a trasformare quello che è un banale e comunissimo gesto quotidiano come il camminare in un'opportunità per entrare in contatto con noi stessi e vivere pienamente il momento presente. Mentre si cammina in consapevolezza è possibile tornare a meravigliarci della natura che ci circonda e allo stesso tempo imparare a esprimere gratitudine per il fatto di essere vivi).

Come ci ricorda anche Maria Beatrice Toro nel libro “Cammini di consapevolezza. L'arte della mindfulness on the road” di co-edito da Morellini Editore, da Enzimi Srls e Yoga Journal (Milano,2019), la differenza tra il camminare e il meditare camminando non esiste. Non dipende dal tempo, dall'andatura, dalla fatica, o dalla lunghezza del percorso, semplicemente dalla pratica di consapevolezza, ossia dall'intenzione con cui si cammina, dall’attenzione che vi si promana e contemporaneamente anche dalla disponibilità a sperimentare la camminata stessa. Mentre si cammina stiamo sempre nel presente (Recensione di S. Sasso per il Sito Modulazioni Temporali).

 


Lo scopo degli incontri (Foto di G. Filippi e S. Sasso) per la pratica della Mindfulness, come abbiamo spesso ripetuto, è quello di sperimentare la consapevolezza di Sé e il rispetto per gli altri, portando gradualmente i partecipanti: a vivere la dimensione interiore di consapevolezza/mindfulness, a superare le difficoltà nel primo approccio alla tecnica, ossia il saper tenere gli occhi chiusi, l’accogliere le preoccupazioni del momento presente, l’imbarazzo, i pensieri ridondanti, e l’imparare a sentire le sensazioni e ad ascoltare il proprio corpo. I membri del gruppo apprezzeranno anche una serie di strategie relazionali, come lo stare in cerchio, il lavorare in diadi, o nel piccolo gruppo, che consentono la condivisione dell’esperienza.

Cosa è possibile fare a livello operativo?

Di seguito propongo tre esperienze, attraverso specifiche pubblicazioni:

1)      La prima è un Programma di educazione alla consapevolezza globale di sé e degli altri, per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza con particolare riferimento ai giovani disagiati e a rischio;

2)      La seconda orientata al mondo dei disturbi del neurosviluppo;

3)      La terza dedicata ai genitori.

Al primo punto possiamo inserire un progetto, già citato, chiamato Progetto Gaia, a cura dell’Associazione Villaggio Globale, Villa Demidoff - Bagni di Lucca (LU). La finalità del progetto riguarda la promozione di un programma il cui punto centrale riguarda lo sviluppo della consapevolezza globale di Sé e del pianeta, costruendo basi etiche, scientifiche e umane. La consapevolezza globale include “la consapevolezza corporea, emotiva, psicologica e le conoscenze del mondo in cui viviamo”. Le strategie pedagogiche ruotano intorno ai metodi partecipativi che consentono lo sviluppo della motivazione e della responsabilizzazione da parte degli studenti.

Il Progetto Gaia, per realizzare i suoi obiettivi per il benessere psicofisico di bambini e ragazzi, si basa su competenze socio-relazionali sviluppate da docenti e psicologi che sono stati formati al “Protocollo Mindfulness Psicosomatica”. L’apprendimento del Protocollo e il suo uso a livello esperienziale consente di utilizzare quelle pratiche idonee relative alla consapevolezza di Sé, di benessere psicofisico e di intelligenza emotiva.

Come nel caso delle pratiche sviluppate in America, citate più sopra, gli incontri del Protocollo Mindfulness Psicosomatica sono dodici, lungo l’arco di 3-4 mesi. Ogni incontro, di circa un’ora, è un’unità funzionale, collegato a quattro moduli tematici. Ogni incontro ha una sua strutturazione ben precisa.

Le tecniche della Mindfulness usate sono di primo livello. Quello che bisogna evitare è di non far fare visualizzazioni, perché la consapevolezza “è uno stato naturale e spontaneo dell’essere e richiede solo la percezione della realtà senza giudizi, accettando e osservando ciò che accade dentro di Sé”.

Al secondo punto possiamo citare un volume: “La Mindfulness per l’ADHD e i disturbi del neurosviluppo” a cura di Cristiano Crescentini e Deny Menghini, Erickson, Trento, 2019. Vorrei focalizzarmi sul Disturbo da deficit di attenzione/iperattività –ADHD, prendendo anche come riferimento un libro pubblicato nel 2020, “Deficit di attenzione e iperattività” di Deny Menghini e Stefano Vicari, Carocci editore Bussole. Gli autori nel corso del testo, accompagnato da una esperienza clinica e pedagogica, mettono in evidenza come le difficoltà legate al disturbo vengono man mano dipanate illustrandone inizialmente le caratteristiche, curandone la storia, focalizzando quali sono i sintomi e la loro estensione all’interno della popolazione infantile e adolescenziale italiana e internazionale, per entrare più nel merito sia a livello scolastico sia in famiglia e per arrivare al come e al quando sia necessario intervenire con i genitori, con gli insegnanti o a livello farmacologico. A livello processuale, viene evidenziato quali possano essere i rischi di una mancata diagnosi: “Nel tempo il bambino e l’adolescente con ADHD tendono a sviluppare bassa autostima, difficoltà relazionali e scolastiche e disturbi comportamentali. L’applicarsi in modo inadeguato e mutevole nei compiti che richiedono uno sforzo mentale sostenuto è spesso interpretato dagli altri come pigrizia, irresponsabilità o mancanza di collaborazione. Questo condiziona negativamente i rapporti con gli insegnanti e con I familiari e si possono verificare contrasti forti e vere e proprie manifestazioni di aggressività. Anche le relazioni con i coetanei sono frequentemente povere e caratterizzate, per lo più, da rifiuti e fallimenti”. Ecco, questo è il ritratto delle difficoltà scolastiche e relazionali che spesso conducono all’emarginazione da parte dei coetanei. Il risultato che ne deriva comporta anche continui rimproveri a scuola e a casa, difficoltà di inserimento in gruppi sociali e sportivi. Insomma un vissuto di grande inadeguatezza che può contribuire all’instaurarsi di modalità depressive (Recensione, a cura di S. Sasso per il sito Modulazioni temporali).

In uno degli articoli del libro di Crescentini e Menghini (2019), tre autrici O. Santonastaso, V. Zaccaro e D. Menghini (p. 87) affrontano i benefici della Mindfulness nell’ADHD. Considerando come l’attenzione abbia un ruolo fondamentale nella pratica della Mindfulness, è necessario concentrarsi sulla regolazione dell’attenzione sostenuta, sulla ri-direzione dell’attenzione, sull’inibizione del processo elaborativo e sull’attenzione non direzionata.

Le ricerche sull’applicazione dei protocolli Mindfulness hanno rilevato una maggiore autoregolazione comportamentale e una riduzione dell’impulsività, il miglioramento delle funzioni esecutive (attenzione, memoria di lavoro e controllo inibitorio), il cambiamento nell’attività dei circuiti fronto-striatali implicati negli aspetti comportamentali e neuropsicologici.

In un training di otto settimane (24 adulti e 8 adolescenti), Zylowska et Al. (2008) hanno osservato un miglioramento della sintomatologia ascrivibile all’ADHD. In seguito a questa ed altre ricerche, le autrici dell’articolo hanno iniziato ad applicare la Meditazione Orientata alla Mindfulness (MOM) – Crescentini e Fabbro, 2016 - a bambini con ADHD (si veda Guida pratica al training MOM nel disturbo da deficit di attenzione/iperattività di O. Santonastaso, V. Zaccaro e D. Menghini (p. 97).

Per quanto riguarda il terzo punto il titolo è davvero simpaticissimo: “Mindfulness per genitori fuori di testa” di Sydne Rome, EFFATÀ EDITRICE, 2019. Il testo che è stato recensito da S. Sasso per il sito Modulazioni Temporali. Il messaggio insito in questo piccolo ma grande libro è rivelatore di come la consapevolezza rappresenti “la gentilezza di un cuore aperto, l’amore per se stessi e per gli altri”. La Mindfulness, come ci ricorda l’autrice, è una disciplina di meditazione che invita a porre attenzione intenzionalmente al momento presente, focalizzandosi su ciò che è davvero importante.

Gli esercizi di consapevolezza che ci propone l’autrice possono aiutare i genitori che “devono trovare un equilibrio nelle esigenze dell’essere genitori e avere le risorse per prendersi cura di se stessi tanto quanto dei propri figli”. Infatti è necessario che tutti i genitori possano bilanciare le richieste dei figli, della famiglia e del proprio lavoro, sia a livello economico che emotivo, individuando il “giusto tempo” da spendere per evitare stress, stanchezza, autocritica e reazioni precipitose, reazioni che possono produrre rotture nell’equilibrio bioenergetico della Persona.

Il libro affronta una serie di micro argomenti per le meditazioni che vi sono inserite. Infatti bisogna ricordare che la Mindfulness ha il suo centro nella respirazione consapevole e gli effetti che ne derivano vanno a stimolare la corteccia anteriore, facilitando così lo sviluppo dell’attenzione, in maniera circolare, al respiro stesso. I benefici riguardano il miglioramento della frequenza cardiaca (che rallenta) e della concentrazione, la chiarezza del pensiero, la positività delle emozioni. A livello endocrino immunologico, la produzione di dopamina e di serotonina viene potenziata dalla produzione di neurotrasmettitori. Inoltre la respirazione consapevole ci aiuta a diventare meno impulsivi e più riflessivi nei momenti di stress, diventando un auto-calmante.

Questo piccolo ma grande libro dà l’opportunità ai genitori di usare la consapevolezza del respiro e comprendere, innanzitutto, che la meditazione è un “motore comprovato per l’attività positiva del cervello” e che, attraverso queste semplici pratiche, di cinque o dieci minuti al giorno, si rimanga ancorati al momento presente per essere più padroni di se stessi e più sicuri nei rapporti di vita quotidiana con i propri figli.

Se non stiamo bene noi genitori, se non sviluppiamo il nostro benessere, i nostri figli ne soffrono.

Attraverso la consapevolezza del respiro, possiamo entrare in contatto con quelle emozioni che ci infastidiscono, alleviandole e godendo dei nostri sentimenti e pensieri più felici.

In sintesi, attraverso gli argomenti presentati, tra i quali lo stress, le aspettative, la presenza, l’essere non giudicanti, l’attaccamento, il sostegno, i limiti, il sonno, la perseveranza, i compiti di scuola, gli adolescenti, la compassione e l’empatia, i valori, la gratitudine e l’umiltà, la spiritualità, e le meditazioni che li accompagnano, anche guidate attraverso la voce di Sidne Rome e scaricabili dalla rete usando i QR Code, i genitori possono:

1.     Ridurre il loro comportamento emotivo negativo e quello dei figli;

2.     Migliorare a sentire la loro genitorialità;

3.     Comprendere quando è meglio prendersi una pausa prima di reagire;

4.     Comprendere che non bisogna giudicare negativamente i propri figli soltanto perché hanno delle difficoltà;

5.     Imparare ad essere più affettuosi;

6.     Imparare a gestire le relazioni fissando limiti e confini per aiutare se stessi e i propri figli;

7.     Imparare a vedere i propri figli come sono realmente e non come pensano che dovrebbero essere;

8.     Imparare a fare le scelte quotidiane necessarie;

9.     Imparare ad amare ogni minuto trascorso con i loro figli;

10. Imparare a stare con i propri figli in ogni situazione.

In conclusione la pratica della Mindfulness si sviluppa attraverso molti sistemi che vanno dal Sé, ai pari, agli amici, ai genitori, agli insegnanti coprendo tematiche trasversali, dalla relazione al vissuto emotivo e affettivo. Il primo obiettivo è essere consapevoli del proprio respiro e trovarsi a casa, nel proprio corpo, come ci ricorda Thich Nhat Hanh.

 

sabato 27 maggio 2023

Autoefficacia...stress...burnout: alcune premesse. di Salvatore Sasso

 «Quando cerco di descrivere ad altri la mia esperienza, uso la metafora della teiera. Come una teiera, ero sul fuoco e l'acqua bolliva; lavoravo sodo per gestire i problemi e fare del mio meglio. Ma dopo vari anni l'acqua era tutta evaporata e tuttavia io ero ancora sul fornello; una teiera bruciata che rischiava di spaccarsi.» Carol B. Assistente Sociale (Maslach, 1992).

 

Il senso di efficacia personale (autoefficacia) è una risorsa importante nell’affrontare i problemi e i cambiamenti della vita. La capacità di esercitare un controllo sugli eventi che riguardano la propria vita e l’esperienza dell’efficacia della propria azione hanno un influsso significativo, secondo Albert Bandura, sul benessere psicologico, la realizzazione personale e la direzione che la propria vita può prendere.

Una valorizzazione di se stessi e delle proprie potenzialità (“senso di autoefficacia”) è l’elemento su cui concentrarsi per prevenire o gestire al meglio il fenomeno del burnout, il quale è  considerato un disagio psicologico che emerge a seguito di eventi vissuti come frustranti, sostenuti per un lungo periodo di tempo. Quindi poiché l’insorgenza del burnout è connessa ad una scarsa autoefficacia, per prevenire o trattare tale fenomeno bisogna fare leva sul rafforzamento dell’autoefficacia.

Occorre distinguere il burnout dallo stress: il burnout può manifestarsi in concomitanza dello stress e quest’ultimo può esserne una concausa, ma non necessariamente quando c’è una situazione di stress c’è anche questo tipo di disagio.

Lo stress è un meccanismo naturale di difesa del corpo e della mente, in alcuni casi, però, uno stato prolungato di stress può minare di fatto l'equilibrio psicofisico del soggetto interessato; senza lo stress non è possibile vivere in quanto esso ci permette di affrontare in modo efficace e con prontezza una determinata situazione.

In linea generale possiamo dire che lo stress è una reazione sana del nostro organismo e indica che stiamo affrontando una situazione di emergenza, ma se prolungata può dare origine a problemi di varia natura anche sul piano fisico oltre che psicologico.

Sia di fronte ad un vero pericolo fisico che ad un pericolo immaginato e/o temuto, mente e corpo reagiscono nello stesso modo, ovvero mettono in atto tutta una serie di meccanismi fisiologici che garantiscono un'efficace risposta di adattamento.

Dal punto di vista psicologico si parla di stress nel momento in cui le richieste ambientali e non, superano le nostre risorse percepite; a quel punto, lo stress diventa uno stato di eccitazione e di tensione continua e sgradevole causata da un compito o una richiesta a cui non sappiamo se siamo effettivamente in grado di rispondere.

La reazione dello stress è mediata dalla nostra soggettività, ovvero persone esposte agli stessi eventi stressanti rispondono ad essi differentemente e non tutti sviluppano poi sintomi da stress; valutiamo se una situazione è stressante in due modi:

ü  In primo luogo valutiamo se la situazione che dobbiamo affrontare rappresenta per noi una minaccia, oppure una sfida o se è irrilevante. Facciamo queste valutazioni sulla base di una serie di fattori come: le idee che ci siamo costruiti riguardo alla situazione che dobbiamo affrontare, gli atteggiamenti che abbiamo verso il potenziale evento "stressante", le nostre caratteristiche di personalità e aspettative rispetto alla situazione.

            Se valutiamo un evento come un pericolo o viceversa come una sfida stimolante, questo produce su di noi effetti diversi. Se lo percepiamo come una sfida si produce una risposta allo stress positiva, in termini tecnici questo stress benefico e positivo si chiama eustress, è una sorta di energia vitalizzante che ci permette in questo caso di affrontare positivamente la situazione.

ü  In secondo luogo dobbiamo affrontare la situazione e valutare se abbiamo delle risorse ovvero i mezzi per affrontarla e in caso positivo, quali di questi mezzi possiamo utilizzare per fare fronte alla situazione problematica; valutare le risorse significa anche valutare le nostre risorse interne. Ci chiediamo quindi: "sono in grado di affrontarla?" oppure "Posso farcela?

In queste valutazioni entra in gioco il grado di “fiducia” che abbiamo nelle nostre capacità per affrontare la situazione e sulla base di esse metteremo in atto delle azioni per gestire la situazione; queste produrranno una serie di risposte psicologiche (pensieri, emozioni, atteggiamenti di difesa) e risposte comportamentali a seconda del risultato ottenuto.

Lo stress prolungato e intenso sul posto di lavoro provoca quella condizione stressogena conosciuta comeSindrome del Burnout (o più semplicemente burnout); essa è l'esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d’aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere.

Maslach e Leiter (2000)[1] hanno perfezionato le componenti della sindrome attraverso tre dimensioni:

Ø  Deterioramento dell'impegno nei confronti del lavoro: spesso quando un individuo inizia un’attività che lo potrebbe entusiasmare e che valuta positivamente, la svolge con “energia, coinvolgimento ed efficienza”. Nel caso in cui il soggetto sta vivendo una situazione di burnout, la sua energia iniziale si “esaurisce”, il coinvolgimento diventa “cinismo” e l’efficienza cede il posto all’“inefficienza” e di conseguenza svanisce anche l’impegno nell’attività.

Ø  Deterioramento delle emozioni originariamente associati al lavoro: soprattutto nelle Helping Professions, le persone investono molto nelle loro emozioni, queste potrebbero essere la regola del giorno.

La Maslach ci dice che le emozioni sono il fondamento della motivazione al lavoro, dell’efficacia delle prestazioni professionali e sono importanti per instaurare buone relazioni con le persone.

Ma spesso alle emozioni non viene dato il giusto peso anzi, è molto più probabile che esse vengano ignorate o sottovalutate dall’organizzazione che le reputa “irrilevanti ai fini lavorativi” e che potrebbero addirittura “interferire con il lavoro”.

Se il lavoratore si sente trattato ingiustamente nell’organizzazione e se non riesce a superare questo problema, le emozioni positive che manifestava inizialmente si potrebbero tramutare in “rabbia” e “frustrazione” e il soggetto tenderà a comportarsi in modo aggressivo nei confronti della propria attività e ancor peggio con le persone a cui dovrebbe prestare servizio.

Ø  Un problema di adattamento tra persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di quest'ultimo: è molto probabile che un lavoratore soggetto a burnout non sia riuscito ad adattarsi a quel determinato contesto lavorativo e l’organizzazione potrebbe attribuire la colpa alla stessa persona considerandola sfaticata e incompetente, non considerando il suo punto di vista.

Ma il burnout più che problema individuale è anche un problema organizzativo, è causato della discrepanza tra caratteristiche individuali e caratteristiche dell’organizzazione. La mancanza di adattamento tra persona e lavoro si riverserà sicuramente sull’efficacia della prestazione lavorativa.

 

In tal senso il burnout diventa una sindrome da stress non più esclusiva delle professioni d'aiuto ma probabile in qualsiasi organizzazione di lavoro; a tal proposito Christina Maslach, insieme alla sua collega Susan Jackson, sviluppa un questionario nel 1981 definito “Il Maslach Burnout Inventory” (MBI), anche definito "modello Maslach".

 




[1] Maslach C., Leiter P. (2000) Burnout e Organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro. Feltrinelli.

venerdì 26 maggio 2023

La classe capovolta: un modello di insegnamento-apprendimento di Salvatore Sasso (a cura di)

 


Che cosa si intende per Classe capovolta

 L'aula capovolta è un "approccio pedagogico in cui l'istruzione diretta si sposta dallo spazio di apprendimento di gruppo allo spazio di apprendimento individuale e lo spazio di gruppo risultante viene trasformato in un ambiente di apprendimento dinamico e interattivo in cui l'educatore guida gli studenti mentre applicano i concetti e si impegnano in modo creativo verso l'argomento "(The Flipped Learning Network, 2014).

 

Lo spazio e il tempo in una classe capovolta

 Secondo Roberto Franchini dell’Università di Genova (in Rassegna CNOS, 1/2014, p. 83-97), le classi capovolte, particolarmente nella loro versione mastery, rappresentano una concretizzazione particolarmente efficace del principio pedagogico, prima che tecnologico, del mobile learning (ALLY M. (a cura di), Mobile learning: transforming the delivery of education and training, Athabasca University Press, Edmonton, 2009): infatti, “l’allievo è potenzialmente libero di accedere ad ogni contenuto, in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo, mantenendo il controllo sulle proprie attività di acquisizione di saperi e competenze e sviluppando nel tempo la capacità di costruire, in autonomia o insieme ad altri, nuovi oggetti di apprendimento, per “commerciarli” all’interno dello spazio web inteso come comunità di apprendisti” (FRANCHINI R., Pad-agogia: tablet e didattica, in Rassegna CNOS, 3/2012, p. 84).

 

I quattro pilastri della classe capovolta F.L.I.P. (PED) CLASSROOM (fonte: The Flipped Learning Network, 2014).

1. Ambiente flessibile per l’apprendimento.

L'apprendimento capovolto (FLIP=capovolgere) consente una varietà di modalità di apprendimento; gli educatori spesso riorganizzano fisicamente i loro spazi di apprendimento per ospitare una lezione o un'unità, per supportare il lavoro di gruppo o lo studio individuale. Creano spazi flessibili in cui gli studenti scelgono quando e dove imparare. Inoltre, gli educatori che capovolgono le loro classi sono flessibili nelle loro aspettative sui tempi di apprendimento degli studenti e nella loro valutazione.

L’insegnante stabilisce spazi e tempi che permettano agli studenti di interagire e riflettere sul loro apprendimento secondo necessità; Osserva e monitora gli studenti per apportare le modifiche opportune; Fornisce diverse strategie per apprendere i contenuti e dimostrare la loro padronanza

2. Approccio centrato sull’alunno.

Nel modello tradizionale centrato sull'insegnante l'insegnante è la principale fonte di informazioni. Al contrario, il modello di apprendimento capovolto sposta deliberatamente l'istruzione verso un approccio incentrato sul discente, in cui il tempo in classe è dedicato all'esplorazione di argomenti in modo più approfondito e alla creazione di ricche opportunità di apprendimento. Di conseguenza, gli studenti sono attivamente coinvolti nella costruzione della conoscenza mentre partecipano e valutano il loro apprendimento in un modo che è personalmente significativo.

L’insegnante dà agli studenti l'opportunità di impegnarsi in attività significative senza che sia lui il centro; Mette insieme tutte le attività rendendole accessibili a tutti gli studenti attraverso la differenziazione e il feedback.

3. Contenuti didattici per l’apprendimento attivo

Gli educatori dell'apprendimento capovolto pensano continuamente a come utilizzare il modello di apprendimento capovolto per aiutare gli studenti a sviluppare la comprensione concettuale e la fluidità procedurale. Determinano cosa devono insegnare e quali materiali gli studenti dovrebbero esplorare da soli. Gli educatori utilizzano contenuti intenzionali per massimizzare il tempo in classe al fine di adottare un metodo di strategie di apprendimento attivo e centrate sullo studente, a seconda del livello scolastico e della materia.

L’insegnante dà la priorità al concetto utilizzato nell'istruzione diretta affinché gli studenti possano accedervi da soli; Crea e / o cura contenuti pertinenti (in genere video) per i suoi studenti. Si differenzia per rendere i contenuti accessibili e pertinenti a tutti gli studenti.

4. La professionalità degli insegnanti.

Il ruolo di un educatore professionale è ancora più importante e spesso più impegnativo, in una classe capovolta che in una tradizionale. Durante le lezioni osservano continuamente i loro studenti fornendo loro feedback rilevanti nel momento e valutando il loro lavoro. Gli educatori professionali sono riflessivi nella loro pratica, si connettono tra loro per migliorare la loro istruzione, accettano critiche costruttive e tollerano il caos controllato nelle loro classi. Mentre gli educatori professionisti assumono ruoli meno evidenti in una classe capovolta, rimangono l'ingrediente essenziale che consente l'apprendimento capovolto. Si mette a disposizione di tutti gli studenti per feedback individuali, in piccoli gruppi e in classe in tempo reale, se necessario. Conduce una valutazione formativa continua durante le lezioni attraverso l'osservazione e registrando i dati per informare l'istruzione futura. Collabora e riflette con altri educatori e mi assumo la responsabilità di trasformare la mia pratica.

Qual è stato il senso iniziale della classe capovolta?

Tutto è cominciato quando due insegnanti di chimica della scuola secondaria, Jonathan Bergmaan e Aaron Sams, si sono accorti che entrambi percepivano la propria attività come troppo meccanica e arida. Giorno dopo giorno, i cicli continui di lezione e test di verifica limitavano il tempo necessario per conoscere in profondità i propri studenti e capire i loro bisogni, in termini sia di apprendimento sia di relazioni.

Nel 2007 hanno pensato di trovare questo tempo mancante spostando il momento dell’acquisizione dei saperi di base, cioè della lezione tradizionale, oltre l’aula e hanno scelto di responsabilizzare gli studenti proponendo come “compito a casa” l’utilizzo di materiali digitali in autoistruzione

Obiettivi didattici di Jonathan Bergmaan e Aaron Sams

In questo modo hanno liberato la loro didattica dall’incombenza delle lezioni, che hanno convertito in screencast, ovvero brevi video digitali composti da audio e sequenze di immagini.

 Il tempo in aula è diventato disponibile per laboratori in piccoli gruppi e per seguire direttamente i singoli studenti attraverso un tutoraggio uno-a-uno. I due chimici hanno poi condiviso sul web i video prodotti e hanno cominciato a raccontare la loro esperienza. I social network hanno fatto il resto diffondendo a macchia d’olio il modello e dando il via al movimento flip your classroom.

 

In sintesi

L'insegnamento capovolto fa leva sul fatto che le competenze cognitive di base dello studente (ascoltare, memorizzare) possono essere attivate prevalentemente a casa, in autonomia, apprendendo attraverso video e podcast, o leggendo i testi proposti dagli insegnanti o condivisi da altri docenti. In classe, invece, possono essere attivate le competenze cognitive alte (comprendere, applicare, valutare, creare) poiché l'allievo non è solo e, insieme ai compagni e all'insegnante al suo fianco, cerca, quindi, di applicare quanto appreso per risolvere problemi pratici proposti dal docente. Il ruolo dell'insegnante ne risulta trasformato: il suo compito diventa quello di guidare l'allievo nell'elaborazione attiva e nello sviluppo di compiti complessi. Dato che la fruizione delle nozioni si sposta a casa, il tempo trascorso in classe col docente può essere impiegato per altre attività fondate sull'apprendimento attivo. (Maurizio Maglioni, Capovolgiamo la scuola, 2018, Erickson Editore, Trento).