L’articolo
tratta di un fenomeno in crescita tra gli adolescenti e i giovani adulti, la
cui diffusione è iniziata in Giappone durante gli anni Novanta del secolo
scorso. La problematica è stata denominata “Hikikomori”, la parola è di origine
nipponica e deriva dalla fusione di due termini giapponesi: “hiku” che
letteralmente significa “tirare indietro” e “komoru”, “ritirarsi”. Tale
condizione implica il rifiuto da parte della persona di uscire dalla propria
abitazione. Il soggetto decide di porre fine alla socialità per perseguire un
agognato isolamento per differenti ragioni. Di questo nuovo disagio soltanto di
recente si è cominciato a discutere in ambito accademico e giornalistico, esso
non è concepito come un’inedita categoria diagnostica, difatti non è presente
come disturbo a sé stante nell’ultima edizione del DSM-5. È ancora in dibattito
la questione sul come considerarlo, se come un vero e proprio disturbo
psichiatrico oppure un elevato problema legato alla socializzazione. Il motivo
principale per cui la scelta si è focalizzata su questo problema è finalizzato
innanzitutto a fornire una panoramica di un disagio poco conosciuto ai non
addetti ai lavori, inoltre il lavoro si propone di illustrare una possibile
spiegazione di un comportamento per alcuni aspetti “innaturale” per un giovane,
in quanto l’adolescenza è tradizionalmente concepita come periodo di scoperta
ed esplorazione, mentre l’hikikomori implicitamente effettua una lotta senza
quartiere verso una società che non sente più di sua appartenenza e competenza.
Ci si è occupati di definire in dettaglio che cosa rappresenta effettivamente
tale fenomeno, descrivendo la sintomatologia e mettendo a confronto
l’hikikomori alla figura del “Neet”, con cui tale condotta ha in comune degli aspetti,
ma se ne differenzia di parecchio per altri. Sono state consultate e riportate
alcune ricerche per mostrare che la diffusione di questo comportamento è giunta
perfino nel mondo occidentale, tra cui l’Italia, Paese che tramite diverse
organizzazioni si è occupato del fenomeno. Tra queste spicca il Minotauro, il
cui presidente Matteo Lancini ha di recente pubblicato un libro sull’argomento
hikikomori dal titolo:”Abbiamo bisogno di genitori autorevoli. Aiutare gli
adolescenti a diventare adulti”, che in alcune parti paragona il ritiro dalla
società da parte dei maschi al disturbo del comportamento alimentare per le
femmine e mette in evidenza il ruolo di internet come possibile fattore
protettivo per un esordio psicotico, poiché consentirebbe al soggetto di mantenere
un contatto con il reale .
I dati dei
rapporti consultati hanno rilevato correlazioni importanti che potrebbero
essere di notevole supporto ed aiuto per i professionisti clinici il cui
obbiettivo principale è caratterizzato dal comprendere le dinamiche consce ed
inconsce presenti nella persona che decide come ultimatum di ritirarsi. Il
secondo capitolo, contrariamente, ha dato spazio alla spiegazione
dell’eziologia che risulta ramificata, non vi è un’unica specifica ragione
sufficiente a spiegare le origini di questo comportamento. Inoltre, è stato
dato uno sguardo generale allo sviluppo di nuove metodologie di trattamento per
curare il problema. Lo scopo ultimo di tale progetto è stato pertanto quello di
far conoscere questo disagio e, in qualche misura, ha voluto proporre una
concezione diversa dalle altre appoggiando la visione di alcuni studiosi secondo
i quali l’isolamento sociale è una scelta costituita da una componente basilare
fortemente narcisistica, poiché isolandosi, l’hikikomori sovente si considera
superiore agli altri. Il problema simbolizza quindi una rivoluzione compiuta in
silenzio verso una società malata di immagine e di continua ricerca di conferme
attraverso perlopiù i social network.
1.
Definizione e sintomi di un fenomeno in ascesa
“Hikikomori” è
un lemma di origine giapponese utilizzato per circoscrivere una categoria di
individui, in prevalenza adolescenti e giovani adulti, che sceglie di ritirarsi
dalla vita sociale per periodi molto lunghi. Il termine fu coniato nel 1998
dallo psichiatra Tamaki Saitō, il quale definì questa nuova tipologia di
disturbo con l’espressione “Social Withdrawal” (Saito T.,
“Shakaiteki hikikomori: owaranai shishunki (Social withdrawal: a neverending
adolescence)”. PHP Shinsho, Tokyo, 1998).
Gli iniziali
resoconti del disagio sono tuttavia datati 1978, anno in cui venne fornita una
prima panoramica da Kasahara che descrisse un gruppo di soggetti definiti
tajkyaku shinkeishou, altresì noti nel mondo scientifico anglosassone come
reatreat neurosis, la cui sintomatologia non corrispondeva a criteri
diagnostici assimilabili a disturbi quali psicosi o depressione. L’età di
diffusione è compresa tra i 19 ed i 30 anni, i soggetti sono primariamente di
sesso maschile, primogeniti. Stime verificate illustrano che soltanto il 10%
del campione è caratterizzato da una componente femminile. Alcuni dati rilevano
che il fenomeno includerebbe un numero di diffusione compreso tra 500.000 ed 1
milione, corrispondente a circa l’1% della popolazione4, mentre l’università di Okinawa sostiene che la cifra
ammonti a 410.000 individui. Negli ultimi vent’anni si è assistito ad un
incremento sostanziale del fenomeno, pertanto nel 2003 il Ministero della
Salute e delle Politiche Sociali del Sol Levante ha deciso di predisporre
un’indagine che ha coinvolto molteplici centri psichiatrici del Paese per
effettuare 14.000 consultazioni. In seguito il governo nipponico ha stabilito i
seguenti parametri diagnostici per consentire, in maniera specifica, una
corretta diagnosi differenziale tra il disturbo hikikomori ed altre
psicopatologie: “hikikomori non è una sindrome, la reclusione volontaria deve
essere stata protratta per almeno 6 mesi, in contemporanea deve verificarsi il
rifiuto di intraprendere percorsi scolastici o professionali, durante il corso
della prima manifestazione del disturbo i sintomi non possono essere
giustificati dalla presenza di altri disturbi mentali” (quali, ad esempio,
allucinazioni nel disturbo schizofrenico o l’accertamento di un disturbo
evitante di personalità -
Ministry of Health, Labour & Welfare.
Community
mental health intervention guidelines aimed at socially withdrawn teenagers and
young adults. Tokyo: Ministry of Health, Labour & Welfare 2003). Tali criteri di valutazione,
tuttavia, non sono stati ancora presi in considerazione ufficialmente dalla
comunità scientifica. Sia il DSM-IV-TR che il DSM-5 non comprendono il concetto
di “hikikomori” fine a se stesso malgrado vi siano state proposte per
l’inserimento ( “Hikikomori, a
Japanese Culture-Bound Syndrome of Social Withdrawal?” Teo Alan R, Gaw A.,
2010, URL: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20531124, consultato il 15
ottobre 2017); ad ogni
modo nella nuova edizione del DSM sono state classificate diverse patologie
vicine a questa condizione. Possono ritrovarsi nella tendenza “Hikikomori”(
“Is hikikomori in the DSM-5?” Girard D.
2013, URL: https://www.quora.com/Is-hikikomori-in-the-DSM-5, consultato il 15 ottobre
2017) sintomi quali l’agorafobia, costituita dal terrore di uscire
fuori dalla propria abitazione; il disturbo d’ansia sociale, caratterizzato
dalla paura di coinvolgimento nelle relazioni sociali; il disturbo depressivo
maggiore e alcuni aspetti del disturbo ossessivo compulsivo tra cui la
rupofobia (ossia la paura di essere contaminati dai germi uscendo di casa) che
può favorire lo sviluppo del ritiro o la presenza di un disturbo di
personalità. Tra i segni vi è inoltre una marcata antropofobia, intesa come angoscia
morbosa determinata dalla presenza di una o più individui. In alcuni casi è
stato osservato che il soggetto hikikomori subirebbe una regressione infantile,
emettendo una voce puerile e ricercando continuamente la madre; in altri casi è
stata rilevata una comorbidità con comportamenti patologici legati alla nuova
forma di dipendenza citata nel DSM-5 come “Internet Addiction Disorder” ed un
capovolgimento dei ritmi circadiani per cui gli individui hikikomori tendono a
vivere durante la notte dormendo tutto il giorno.
Dagli
hikikomori vanno distinti anche quei soggetti che continuano ad intrattenere
rapporti sociali, come ad esempio tutte quelle persone rientranti nel genere
Neet (not engaged in education, employment or training) acronimo che indica un
gruppo di individui che non possieda un’attività lavorativa né la ricerchi e
non sia impegnato nella costruzione di una propria formazione scolastica; tale
condizione è sovente tradotta, in gergo giornalistico italiano, come
“né-né”.E’stata riscontrata una tendenza nell’opinione pubblica giapponese a
considerare quali sinonimi “Neet” e “Hikikomori”: ciò costituisce
un’imprecisione poiché con il termine “Neet” sono inclusi individui tra i 15 ed
i 34 anni che, essendo disoccupati e non iscritti ad un istituto scolastico,
vivono mantenuti dai genitori continuando a mantenere rapporti sociali al di là
del contesto familiare, riunendosi in diversi gruppi giovanili che conducano,
all’interno del proprio iter quotidiano, le medesime attività. La differenza
tra le due categorie è stata studiata recentemente9. I ricercatori hanno sviluppato una nuova scala, la
“Neet-Hikikomori Risk Factors” (NHR), che ha incluso sia la condizione di
“Neet” che quella “Hikikomori” quali diagnosi facenti parte di uno spettro
composto da sintomi psicologici correlati in entrambi i casi ad uno stato di
emarginazione dalla società. Sono stati individuati principalmente tre fattori
di rischio per lo sviluppo delle due inclinazioni. Il primo concerne
l’attitudine allo stile di vita di “Freeter”10, il
secondo implica l’assenza fondamentale di “autocompetenza”, unito ad una
mancanza di ambizioni specifiche nei confronti del futuro. Dai risultati è
emerso che i sintomi sottoposti ad analisi dalla scala siano stati rilevati tra
lavoratori non classificabili come “Neet” o “Hikikomori”. Un vantaggio della
scala risiede nell’identificazione dei rischi comportamentali che possono costituire
un potenziale fattore di rischio per lo sviluppo delle due tendenze, oltre ad
aver contribuito a definire le categorie di persone che potrebbero beneficiare
di interventi precoci atti a scongiurare la possibilità di emarginazione dalla
collettività. Un ulteriore merito è stato quello di aver individuato sintomi
psichici dello spettro “Hikikomori” associati ad un disturbo depressivo, come
ad esempio l’anedonia11. Il primo fattore misurato dalla
scala, riguarda quindi un’incessante resistenza individuale al conformarsi ad
uno standard culturale che prevede il passaggio ad una condizione di
“adultità”. Stato che risulta meno presente tra i disoccupati piuttosto che tra
i dipendenti che svolgono un impiego di mezza giornata. Si è inoltre
riscontrato come un elevato punteggio nella scala indichi una propensione
minore da parte del soggetto ad adeguarsi al gruppo dei pari. Il secondo
fattore ha descritto la percezione personale delle proprie abilità sociali e
nelle competenze accademico-lavorative ed ha illustrato come le due condizioni
“Neet” e “Hikikomori” abbiano in comune una bassa considerazione di sé e delle
proprie capacità, oltre a non aver chiaro un progetto di vita. E’ emersa,
infine, un’importante correlazione tra lo status socioeconomico e lo sviluppo
di una delle due tendenze e si è riscontrato come i soggetti aventi un livello
di istruzione superiore fossero più inclini a svilupparle; si è inoltre
riscontrato quanto uno stato di emarginazione possa costituire un fondamentale
fattore di rischio.
2.
Epidemiologia del disagio
Nonostante sia
stato considerato per diverso tempo un disturbo a carattere esclusivo del
Giappone, come dimostrato da ricerche successive, il ritiro sociale è un comportamento
che progressivamente ha subito una divulgazione singolare anche in Occidente.
Sono stati registrati casi di isolamento dalla comunità da parte dei giovani
anche nel resto del continente asiatico, come in Corea Del Sud e nella
Repubblica di Cina, Taiwan. La diffusione ha avuto luogo anche in Australia e
Stati Uniti; ricerche contemporanee mostrano come la propagazione del fenomeno
non ha risparmiato i più importanti Paesi europei quali Francia, Regno Unito,
Spagna ed Italia. A tal proposito, sono da segnalare recenti inchieste
risalenti entrambi al 2014 in Italia ed in Spagna, ricercate attraverso il
motore di ricerca scientifica Google Scholar. La prima ha coinvolto l’Unità
Funzionale Salute Mentale di Arezzo incaricata da alcuni genitori che hanno
segnalato la propensione dei figli, alunni membri di una scuola media del
luogo, al non frequentare per un considerevole periodo l’istituto. Gli
adolescenti su cui è stata impostata la ricerca erano caratterizzati da un
complesso di sintomi similari a quello dei giovani hikikomori giapponesi. E’
stato somministrato un questionario a 109 docenti, costruito per stabilire se
si fosse verificata l’assenza di alcuni studenti di almeno 40 giorni dalla
scuola. I risultati illustrano che 27 studenti su un campione di 2694 pari
all’1% della popolazione scolastica appartenente alla scuola secondaria di
primo grado non hanno frequentato l’istituto per il lasso di tempo
prestabilito, la maggioranza è composta da maschi di età compresa tra i 12 e i
16 anni, il percorso scolastico è regolarmente contrassegnato da non ammissioni
alla classe successiva. Gli studenti non manifestano secondo il punto di vista
del corpo docente uno scarso livello di autovalutazione, insieme all’ambito
relazionale tra coetanei che non risulta essere intaccato, dunque non può
essere rilevato un rapporto causale tra la qualità dei rapporti sociali e
l’inizio del ritiro sociale adolescenziale a differenza dei dati concernenti la
motivazione all’apprendimento scolastico che risulta pari al 48,1%, quindi è plausibile
una correlazione tra le due variabili. Un elemento inaspettato è stato quello
in riferimento al ruolo del contesto famiglia che non risulta essere correlato
con lo sviluppo di questo comportamento, diversamente dalla cultura giapponese
in cui il nucleo familiare è restio a chiedere un sostegno terapeutico.12 Il fenomeno esaminato in Italia, al contrario, rileva un
cospicuo coinvolgimento familiare, che ne determina la protezione e la
prevenzione nei confronti del ritiro. L’età media dell’esordio del disagio è di
circa 14 anni.13 Un altro studio14 condotto nello stesso anno, oltre ad aver mostrato
l’esistenza del fenomeno in Spagna, ha illustrato la presenza di un’elevata
comorbilità con altre psicopatologie ed afferma pertanto che la condizione di
hikikomori non sia riconducibile ad una nuova diagnosi, bensì rappresenterebbe
una sindrome associata ad altre patologie psichiatriche aderenti all’area
psicotica ed ansiogena. La condizione di hikikomori “puro” è una rarità in
psicologia. E’ stata effettuata l’analisi su un campione costituito da 200
soggetti tenendo conto dei dati socio-demografici e clinici, gli strumenti
utilizzati sono stati: la scala di gravità indicata con la sigla “SPI”, la
valutazione globale del funzionamento “GAF”, la clinical global impression
“CGI”. Ancora una volta i risultati hanno confermato la tendenza all’isolamento
sociale da parte di individui di sesso maschile, l’età media dell’esordio è
circa a 40 anni ed il periodo medio socialmente ritirato è di 3 anni. Gli strumenti
hanno descritto un’alta compromissione del funzionamento sociale ed una bassa
sinergia dei partecipanti al trattamento terapeutico. Lo studio compiuto
propone un’argomentazione in contrasto con la definizione sopraccitata derivata
dalla ricerca del Ministero della Salute e delle Politiche Sociali del Giappone
che non considera l’hikikomori una sindrome15 costituendo
quindi un inedito punto di vista per la questione diagnostica. Un’ulteriore
conferma della crescita del fenomeno sociologico noto come hikikomori, proviene
da una recente analisi svolta in Ucraina16 e
pubblicata nell’Aprile di quest’anno, avente l’obiettivo di descrivere le
peculiarità epidemiologiche e psicopatologiche di chi manifestasse il disagio.
E’ stata posta a verifica empirica l’anamnesi dei soggetti coinvolti, che sono
stati divisi in gruppo sperimentale e gruppo di controllo. Il primo ha visto il
posizionamento di individui che soddisfacevano i criteri sintomatologici
dell’hikikomori, il secondo ha incluso soggetti ritenuti sani in chiave
psicologica. L’indagine è stata condotta attraverso l’utilizzo di diversi
strumenti di ricerca tra cui il M.I.N.I 7.0 (Mini International
Neuropsychiatric Interview), la TAS-20, scala di misura per la presenza ed il
livello di alessitimia, intesa come incapacità individuale di fornire una
descrizione semantica delle proprie emozioni; si è approfondito inoltre il
percorso di vita dei soggetti tramite l’ausilio del LEQ, il questionario
sull’esperienza di vita, insieme all’opinione dei partecipanti concernente la
loro percezione verso la qualità della vita condotta attraverso la scala di
Chaban, il CQLS; tra le variabili esplorate è stata inclusa anche la possibile
inclinazione all’ostilità misurata con l’inventario di ostilità di Buss-Durkee,
il BDHI. Il quadro emerso designa che il 65,4% del gruppo hikikomori presenta
una diagnosi psichiatrica aggiuntiva a differenza del 34,6% che, al contrario,
non era in possesso di un’altra condizione psicopatologica. I disturbi più comuni
rientrano nel secondo asse del DSM-5 e riguardano i disturbi di personalità,
importanti anche il disturbo post traumatico da stress, il disturbo depressivo
maggiore, sintomi appartenenti al disturbo ossessivo compulsivo ed in misura
minore un’incidenza di bulimia nervosa. Diversi partecipanti hanno riferito di
essere stati vittima di un trauma precoce durante l’infanzia, oltre ad avere un
alto grado di irritabilità, risentimento, paranoia ed una bassa qualità della
vita. 16
Psychosomatic
medicine and psychotherapy, Bogomelets National Medical University, Kyiv,
Ukraine. Frankova I. 2017 URL:
http://www.europsy-journal.com/article/S0924-9338(17)32245-9/abstract
consultato il 16 ottobre 2017. E’
stata mostrata una correlazione rilevante tra il deficit alessitimico ed il
fenomeno di ritiro. L’esordio della predisposizione alla chiusura sociale
avviene in adolescenza.
Si osserva
dalle ricerche consultate che, come specificato inizialmente, vi sia stata
un’accentuazione del fenomeno anche in Occidente. Le ipotesi sono molteplici,
da reiterati atti di bullismo compiuti dai coetanei nei confronti degli
adolescenti che decidono di porre fine alle relazioni sociali, al rapporto tra
l’adolescente e la famiglia di origine. Le inchieste effettuate mostrano che il
più delle volte è presente un alto grado di comorbidità, costituito dalla
compresenza di più disturbi. Non è ancora possibile individuare chiaramente i
fattori causali della tendenza all’isolamento. Un ruolo essenziale è rivestito
da un quadro depressivo che è emerso dai risultati, ciò non è sufficiente per
dimostrare l’esistenza di un rapporto causa-effetto tra depressione e lo
sviluppo del disagio hikikomori. Vi sono stati dati inaspettati, quali la
presenza di diagnosi di un DCA17, la bulimia nervosa e l’inizio del
ritiro degli hikikomori spagnoli, in netto ritardo rispetto all’andamento
generale degli altri Paesi. Il fenomeno risulta essere presente anche in
Italia, dove si rilevano dati incoraggianti per quanto concerne il ruolo
genitoriale, decisamente importante in campo di prevenzione della tendenza. La
percezione delle famiglie verso il supporto terapeutico è più che positiva, a
differenza di quanto avviene in Giappone.
Si è tentato più
avanti di illustrare la possibile genesi del fenomeno ed i diversi progetti
psicoterapeutici atti a comprenderlo e contrastarlo.
3. Lo
sviluppo di una rivolta silente
È determinante,
per comprendere questa tendenza volta alla ricerca della solitudine, descrivere
l’epoca che si sta vivendo, la quale è imperversata come sottolineato da alcuni
autori, da un continuo senso di incertezza. Una civiltà che sta attraversando
un periodo in cui i confini non sono più stabili, definita per l’appunto da
Bauman18 come società liquida, scevra di
sicurezze e di limiti, in cui prevale il sensation seeking, inteso come
l’incessante ricerca di emozioni forti, caratterizzato dalla pratica di sport
estremi o dall’adottare uno stile di vita imprudente che può giungere fino alle
forme più perniciose come l’abuso di sostanze stupefacenti per evadere dalla
realtà, la partecipazione a rischiose corse clandestine o al commettere atti di
vandalismo. Da segnalare la posizione di studiosi contemporanei che hanno
espresso il concetto di nootemporalità19, la
capacità dell’essere pensante di vivere il presente in relazione al passato ed
al futuro, che risulta essere perduta in favore di un nuovo tempo, questa volta
spazializzato, composto da differenti istanti scissi tra di loro in cui non vi
è connubio. Ciò può determinare lo sviluppo di identità multiple che possono
avere notevole proliferazione tramite l’ausilio di internet da parte
dell’individuo ritirato, il quale si può ricostruire un mondo eccezionale privo
di dolore, generando un allontanamento del soggetto dal suo autentico sé. La
metamorfosi di una società in passato edipica basata sul Super-io, ad una
fondata sull’apparenza narcisistica dell’io è parte della patogenesi del fenomeno.20 La condizione di hikikomori, anacoreti del nuovo millennio,
può sopravvenire nel momento in cui, come sostenuto da alcuni autori21, le aspettative del ragazzo e giovane adulto subirebbero un
tracollo a causa di un conflitto avvenuto durante il processo transizionale che
caratterizza il passaggio da una condizione infantile di protezione vissuta in
simbiosi con la figura materna ad una adolescenziale in cui al centro vi è il
paragone con il gruppo dei pari.
È utile
esporre la presentazione del disturbo narcisistico di personalità dell’ultima
edizione del DSM per descrivere in maniera esauriente
il grado di narcisismo che si ritrova nel soggetto hikikomori. Il DSM-5 ha
illustrato il disturbo narcisistico di personalità definendo un quadro
pervasivo di diversi aspetti caratteristici dell’individuo che compromettono la
sua persona ed il rapporto con l’altro. I criteri diagnostici hanno stabilito
che il paziente affetto da questo disturbo ha un’opinione eccelsa di sé, un
vasto senso del diritto, in quanto pienamente convinto che gli altri debbano
soddisfare i suoi desideri in ogni occasione, è incessantemente impegnato in
fantasie di potere e successo infinito, non si fa alcuno scrupolo a sfruttare
gli altri per perseguire i suoi obbiettivi, si ritiene unico, ricerca persone
che siano il suo riflesso non è capace di empatizzare, è arrogante ed invidioso
e per mezzo di un meccanismo di genere proiettivo è sicuro che gli altri
invidino lui. Il DSM fornisce un’enunciazione di ottimo livello analitico per
quanto concerne una forma di narcisista che da Kernberg è stata definita
inconsapevole, la quale presenta tutti i criteri stabiliti dal manuale ed è
caratterizzato da un inconscio senso di inferiorità. Tuttavia Kohut attraverso
la sua esperienza clinica ha formulato l’ipotesi che esista un’altra struttura
di narcisista, detto ipervigile. Questa particolare organizzazione
personologica esibisce un corteo di comportamenti in apparenza prospiciente
rispetto alla condizione di narcisista inconsapevole. Tali individui, al contrario
del narcisismo inconsapevole che viene manifestato attraverso un filtro
prettamente arrogante e con enorme alterigia, appaiono similmente ai depressi
come vittime della vita. Tendono ad evitare tutti quei momenti di relazione
sociale in cui possono venire feriti con facilità, non è concentrato in se
stesso, la sua attenzione è focalizzata perlopiù sull’altro, per questo
esteriormente possono dare l’idea di persone con profonda capacità di empatia.
Sono altamente critiche verso gli altri, in modo affine ai soggetti che
soffrono di un disturbo ossessivo compulsivo di personalità. Ma, a differenza
di questi ultimi, i narcisisti ipervigili non effettuano mai una minima
autocritica23. La personalità narcistica tra le
peculiarità in comune con gli hikikomori ha la totale egosintonia24 da parte del soggetto, il quale non vive questa
predisposizione come un sintomo da curare, le fonti del suo disagio derivano
dalle conseguenze che possono comportare la perdita dell’anno scolastico, un
eventuale licenziamento e scontri fisici con tutti coloro che cerchino di farlo
uscire dalla sua camera.
Come nel mito
di Ovidio25 che narra la vicenda di Narciso (il
giovane che rifiutò l’amore della bellissima ninfa Eco e pertanto fu punito per
la sua superbia dalla dea Nemesi, la quale fece in modo che egli si innamorasse
della propria immagine riflessa portandolo così al suicidio poiché non avrebbe
mai potuto ottenere quell’amore che ha visto rispecchiato), analogamente,
l’hikikomori, avendo una pessima opinione della società che non ha
concretizzato le sue aspettative grandiose, rifiuta la bellezza effimera del mondo
esterno respingendo il contatto con esso rispecchiandosi in un mondo
idealizzato che nella realtà dei fatti non vi può essere, sbocciando in una
nuova identità, in modo simile al protagonista del racconto che si tramuta in
fiore. Il comportamento dell’hikikomori nasce pertanto come forma di ribellione
nei confronti di una società narcisista ma, paradossalmente, la sua scelta
subisce una trasfigurazione divenendo nient’altro che un’altra sfaccettatura di
quel narcisismo che in maniera silente egli tenta di combattere con l’insieme
delle forze di cui dispone. Narcisismo, quello dell’hikikomori, per alcune
caratteristiche simile a quello ipervigile, che ha luogo costruendo attraverso
internet delle comunità online di ritrovo e di supporto. Si va a formare in tal
modo una sorta di elitarismo, determinato dall’energia che il soggetto ricava
dal sostegno di altre persone in situazioni simili alla sua. Questo protegge
l’hikikomori che può ricuperare quell’importanza che non percepiva più in se
stesso, salvandolo dalla possibilità di tentare atti suicidari che sono spesso
presi in considerazione da circa il 46% del campione di chi ne soffre, ma per
tale motivo il più delle volte non vengono attuati26, la rete non deve essere sottoposta a demonizzazione, non va
considerata come la causa del ritiro della persona, in quanto ciò aumenta il
rischio di suicidio e di psicosi, perché mantenere in qualche modo un contatto
con il mondo esterno può proteggere l’individuo dall’incorrere in un disturbo
schizofrenico come spiegato da Piotti nel suo libro:”Il banco vuoto: diario di
un adolescente in volontaria reclusione.
4. I
meccanismi di difesa dell’hikikomori
L’hikikomori
vive costantemente una forte ambivalenza. Il soggetto che sceglie l’isolamento
è vittima di una sofferenza urbana elevata, egli si ritrova nella sua stanza
che da rifugio diviene una prigione di carta dalla quale una parte del suo sé
intende uscire e ritrovare un posto nel mondo, ma un’altra è enormemente
attratta dalle quattro mura che proteggono la sua persona, in quanto lì non può
essere sfiorato né giudicato, il pericolo di subire ferite narcisistiche che
intacchino il falso sé ricostruito è ridotto ai limiti del possibile.
L’individuo che ha scelto il ritiro è una persona che ha tentato di adeguarsi
alla società, senza essere in grado di riuscire nel suo intento, poiché non si
sente pronto a competere con i ritmi di una vita sempre più celere e
“tecnoliquida”28, ossia imperniata dalla condivisione
rapida del proprio percorso esistenziale che vede il Web come un continuo
intermediario tra la realtà concreta ed il virtuale. Una competizione che, come
specificato, è considerata persa da chi sceglie come risoluzione definitiva il
ritiro, equiparabile ad un meccanismo di difesa dell’io, secondo una
prospettiva psicoanalitica o un’errata strategia di coping, seguendo un modello
cognitivo-comportamentale. Nell’hikikomori si può riscontrare anche un ricorso
alla razionalizzazione e, sotto alcuni aspetti, alla proiezione. Il controllo
dell’io del soggetto che possiede tale organizzazione psichica fa utilizzo
massimamente di meccanismi di difesa primari, dunque arcaici e primitivi.
I suddetti
meccanismi di protezione del sé sono stati studiati da diversi psicoanalisti,
una recente esposizione è stata compiuta da Nancy McWilliams la quale ha delucidato le dinamiche subconscie che li
costituiscono. Il ritiro primitivo è descritto come extrema ratio, utilizzata
dal soggetto, per darsi alla fuga da un’angoscia che egli non è più in grado di
gestire. Può aver luogo in vari modi tra cui trascorrere ore al computer ed ai
videogiochi, immergersi nella lettura ma anche in forme più gravide di
conseguenze come l’uso di droghe. Tra le cause del ritiro si possono
evidenziare situazioni traumatiche e ponderose trascuratezze emotive. La
razionalizzazione è un meccanismo difensivo a carattere secondario attuato
principalmente nel momento in cui si forniscono giustificazioni per condotte
che l’io dell’individuo ritiene inaccettabili, ad esempio un marito che
percuote la propria coniuge poiché, dal suo punto di vista, ha commesso
qualcosa di sbagliato. Una forma di razionalizzazione si ritrova
nell’hikikomori, poiché discorsi quali:”E’ la società che non mi accetta, mi
ritiro in quanto non sono compreso”, sono frequenti tra le motivazioni che li
spingono all’isolamento, tali razionalizzazioni si congiungono ad un meccanismo
proiettivo, perché in realtà è la persona che prende la decisione di isolarsi e
non intende tollerare le convenzioni sociali, giudicandole fondate perlopiù
sull’ipocrisia e sull’utilizzo di maschere di cera.
Il ritiro
psichico è la principale difesa utilizzata dall’hikikomori. Un interessante
approfondimento italiano è stato espresso da recenti ricerche pubblicate da De
Masi30 che hanno descritto efficacemente il
ritiro psichico, tra le difese più sottovalutate e quindi poco studiate in
ambito accademico. Il ritiro psichico è una modalità di salvaguardia dell’io
catalogata in psicoanalisi tra i meccanismi di difesa primari, che si
strutturano durante la prima infanzia. I ritiri della psiche essendo collocati
tra i meccanismi difensivi basici, qualora impiegati morbosamente, possono
determinare effetti potenzialmente disadattivi nell’esistenza psichica e
relazionale, il ritiro come concepito dall’autore, si propone come una
contrapposizione ad una congetturazione fornita da Steiner31 a suo parere limitativa, in quanto quest ultimo concepisce il
ritiro come una difesa dalle angosce schizoparanoidee e depressive, un’area di
temporaneo indugio in cui il soggetto è libero di poterne entrare come di
uscirne. Il ritiro invece è rappresentato da De Masi come una vera e propria
fuga del bambino in una dimensione alternativa rispetto alla realtà esterna,
costruito utilizzando canali sensoriali mettendo da parte quelli psichici. Nel
corso dell’infanzia, il bambino creerebbe tramite i cartoni animati un mondo
idealizzato in cui la fantasticheria domina la sua mente, vi è la fabbricazione
di un mondo creato ex novo che comporta l’impoverimento delle relazioni, del
confronto con i coetanei divenendo pertanto un fattore di rischio per un
mancato sviluppo della capacità empatica e, in casi più drammatici, può
comportare atti sprovveduti da parte della psiche ancora ingenua del fanciullo,
come mostrato nel caso italiano di qualche anno addietro riportato in un
articolo32 di Repubblica del 2000 che ha
pubblicato la notizia di un bambino romano di 4 anni il quale si è gettato dal
balcone per imitare un personaggio dei Pokémon. Con l’avanzamento in età
adulta, il ritiro può aver sviluppo in diverse esiziali sfumature. Può sfociare
in reiterate sessualizzazioni nelle parafilie, in personaggi di fantasia nel
disturbo borderline di personalità (il cui nome nuovo è disturbo caratterizzato
da vissuto emozionale eccessivo e variabile) ed in ritiri distruttivi, nelle
patologie che rientrano lungo un continuum narcistico, fino a sviluppare nei
casi limite la schizofrenia o il disturbo schizoide di personalità, in cui
l’individuo è del tutto concentrato in sé e si riscontra un vasto appiattimento
emotivo. Spesso il bambino a scuola può apparire agli occhi dei docenti come
presente, malgrado vi siano momenti in cui è del tutto assente e sia necessario
richiamare la sua attenzione in modo deciso. Ma, nel suo privato, si ritrova in
totale libertà per la coltivazione del ritiro che può far sviluppare nel
soggetto visioni, allucinazioni uditive e perfino deliri.
5.
Eziologia dell’isolamento e strategie di intervento
Per spiegare
l’origine del comportamento definito come hikikomori, sono state proposte
ipotesi che possono essere riassunte fondamentalmente in due prese di
posizione: una prevede il considerare tale condotta una patologia psichiatrica
nascente, diversamente, l’altra afferma che si debba valutare la situazione
effettuando un’analisi del fenomeno sotto un’ottica essenzialmente culturale.
Quest’ultima posizione sembra essere quella maggiormente accreditata, essa si
focalizza sui pilastri della cultura diffusa in Giappone. Un Paese costituito
da una mentalità rigida e metodologica, in cui vige la figura di un padre
assente a causa dei meticolosi ritmi professionali su cui la società si basa.
Una comunità in cui il senso della disciplina viene impresso nel corso
dell’adolescenza per proseguire in età adulta, come dimostrato attraverso una
formazione scolastica incentrata sull’agonismo che determina lo sviluppo di una
forma mentis carrierista. Nel sol levante l’istruzione è fondata secondo una
scala strettamente gerarchica33, infatti le imprese del Paese
tendono sempre di più ad assumere i giovani laureati provenienti dalle
università più altolocate, tra cui spicca Tōdai, abbreviazione dell’Università
imperiale di Tokyo, ritenuta la più prestigiosa del Giappone. Tutto ciò può
elicitare in un individuo predisposto la tendenza al ritiro, poiché influenzato
perfino dal contesto famigliare che, data l’organizzazione sociale del Paese, è
improntato a fare qualunque genere di sacrificio per iscrivere i propri figli
in università o college quotati e considera con enorme dolore un possibile
fallimento nella realizzazione lavorativa del figlio che si ritrova in tal modo
in un vortice di intensa pressione.34 La
pressatura da parte della società si concentra assiduamente sulle prove di
esame, in Giappone gli adolescenti e gli studenti universitari hanno un carico
di materiale didattico da preparare che può portargli via anche mezza giornata,
i ragazzi definiscono quest’eccessiva pressione scolastica “shinken jigoku”,
letteralmente traducibile in “inferno degli esami”. Tra le ragioni che portano
il ragazzo all’allontanamento dalla scuola e dal sociale, vi è, secondo
Ishikida35, la cosiddetta “tokokyohi”, in
inglese indicata con il termine “school refusal syndrome”, una sindrome che
colpisce gli studenti che desidererebbero frequentare a scuola ma percepiscono
un’impossibilità per farlo, a causa di ripetuti atti di bullismo definito in
lingua giapponese come “ijimè”, derivato dal verbo ijimereru, il cui
significato letterale è “tormentare” a cui sono sottoposti. Il nucleo familiare
del futuro hikikomori rappresenta per il ragazzo o, più raramente, la ragazza
oggettivamente un ottimo rivestimento di protezione, la famiglia tipo
giapponese non presenta dinamiche caratterizzate da trascorsi particolarmente
spiacevoli dal punto di vista emotivo per i figli, quali divorzi o separazioni,
quindi l’individuo non prova disagio a rimanere serrato nella propria
abitazione. Il comportamento di ritiro è favorito da una consuetudine chiamata
“Amae” descritta da uno psicoanalista giapponese, Takeo Doi36, nel suo saggio “Anatomia della dipendenza”, caratterizzata
da una costante dipendenza dell’individuo nei confronti della madre che ripone
nei confronti del bambino e del futuro adolescente numerose speranze ambiziose.
Il trattamento
psicoterapeutico per trattare il fenomeno hikikomori prevede un approccio
biunivoco, applicando un trattamento integrativo che implica l’accostamento di
una psicoterapia ad un trattamento farmacologico. Le psicoterapie attuate
appartengono ad un orientamento sistemico-relazionale che coinvolga l’intera
cerchia famigliare ed una di genere cognitivo-comportamentale37. Un trattamento che ha avuto buon successo è stato basato su
una psicoterapia definita “nidotherapy”38, la
quale consiste in un’assidua collaborazione tra il paziente e l’analista volta
alla modificazione dell’ambiente in cui si è sviluppato il disturbo, ha
riscosso ottimi risultati anche per sintomi che rientrano nel campo della
psicosi. Negli ultimi anni il Giappone ha visto la fondazione di organizzazioni
non a scopo di lucro che trattano il disagio interiore dell’adolescente come un
problema di socializzazione, rifiutando la prospettiva psichiatrica che
etichetta il fenomeno hikikomori catalogandolo tra i disturbi mentali. Tra le
scuole che adottano questa tipologia di pensiero di spicco vi è la New Start,
il cui trattamento è chiamato “rental sisters”, ossia “sorelle in prestito”,
che vede un programma di volontariato dove alcune ragazze si dirigono alla casa
del soggetto isolato per stabilire un primo tentativo di contatto, una nuova
forma di aiuto che ha visto il coinvolgimento anche di ragazze italiane39. Tuttavia, il Paese si dimostra decisamente scettico nei
confronti degli adolescenti che frequentano tali corsi di recupero, in quanto
le imprese giapponesi discriminano i ragazzi che hanno perduto anni di
possibile attività lavorativa e pertanto presentano un curriculum vitae privo
di contenuti allettanti per il mondo professionale. Di recente, un articolo
pubblicato su “The Japan News”40
ha diffuso la notizia di
una cittadina parte della prefettura di Akita, sita nel nord del Paese la quale
ha istituito il “Fujisato Experience Program”, un programma il cui obiettivo è
stato quello di organizzare attività professionali per un minimo di tre giorni
ad un massimo di tre mesi comportando il recupero completo dell’80% dei ragazzi
isolati. Risultato notevole che ha portato la stampa Nazionale a definire
Fujisato come l’unica città senza hikikomori. L’approccio psichiatrico prevede
l’assunzione di sostanze psicofarmacologiche antidepressive in particolare
della paroxetina nel caso in cui vi sia una comorbilità con una sintomatologia
appartenente al disturbo ossessivo compulsivo, ai disturbi dell’umore, un
disturbo depressivo o un disturbo d’ansia generalizzato.
In Italia,
soltanto nel 2012 è stato compiuto un importante passo in avanti per il
trattamento dell’isolamento giovanile, a Milano è stato fondato il Centro
Hikikomori. L’organizzazione è in possesso di un sito42 L’intervento psicoterapeutico è organizzato in modo da
sfruttare la tendenza al ritiro del giovane e si attua tramite l’impiego di
colloqui domiciliari tenuti a distanza via Skype, la rete quindi assume un
ruolo di fondamentale comunicazione tra il soggetto isolato e il terapeuta
chiamato al trattamento. L’anno successivo vi è stata la fondazione per opera
di Marco Crepaldi della prima community online italiana:”Hikikomori Italia”, il
cui sito include una sezione apposita dedicata ad una chat per adolescenti e
giovani adulti hikikomori che rappresenta un’occasione di incontro e confronto
tra pari.
Conclusioni
Si è lontani
dal comprendere del tutto l’origine di un fenomeno talmente complesso qual è
quello degli hikikomori. Le causalità sono costituite da un numero notevole di variabili
in relazione tra di loro, la tesi qui proposta considera questo disagio come
una manifestazione di angoscia e vergogna verso una società che non ha
soddisfatto le aspettative grandiose del soggetto, dunque vi sarebbe un’alta
componente narcisistica del carattere. Tuttavia è soltanto una correlazione,
non è presente un rapporto causa-effetto dimostrato tra disturbo narcisistico
di personalità e lo sviluppo del fenomeno. La tendenza al ritiro giovanile, per
poter essere compresa in ogni sua forma, dovrebbe essere analizzata attraverso
un modello multifattoriale non ancora sviluppatosi. Esso dovrebbe tenere in
considerazione un insieme di sfumature che caratterizzano tale disturbo, come
illustrato, non catalogabile come una mera psicopatologia emergente. Sembrano
essere di fondamentale importanza gli aspetti socioculturali di una società che
ha smarrito i suoi confini precostituiti, ove i giovani divengono “vittime” di
una civiltà fondata sull’incessante velocità che ha luogo considerevolmente
tramite i social network e la continua ricerca di sensazioni forti. Da vittime,
perlopiù gli adolescenti ed in qualche misura i giovani adulti, i soggetti
finiscono per diventare carnefici di loro stessi con l’utilizzo del ritiro come
principale meccanismo di difesa, come accennato precedentemente; una protezione
primaria ed infantile per contrastare le situazioni che l’individuo ritiene
stressanti per se stesso, finendo dunque per sottrarre un importante livello di
energia psichica che invece potrebbe investire con maggiore profitto in ambito
relazionale. Il ritiro risulta perpetrato per diversi motivi, quali ad esempio:
un inconsueto rapporto fusionale con la figura materna, determinato
dall’importante assenza di un padre costantemente impegnato nel mondo professionale,
tenuto a distanza pertanto dal nucleo familiare. Un’alta componente è dettata
dal bullismo, piaga che riveste un rilevante ruolo per il favoreggiamento all’isolamento,
insieme ad un ricorso continuo al sogno ad occhi aperti, un gioco di fantasia
che da svago può tramutarsi in un rifugio mentale perverso e segreto stupendo
per il soggetto che difficilmente viene alla luce, se non nelle fasi più
avanzate del processo psicoterapeutico, come fatto notare efficacemente dal
dottor De Masi nel suo saggio citato nel capitolo antecedente. Il lavoro fin
qui illustrato ha voluto mostrare come questo disagio, originatosi in Giappone,
abbia subito una vera e propria pandemia fino a giungere in Occidente, senza
escludere l’Italia, tentando di descrivere le numerose sfaccettature che
costituiscono questo problema purtroppo poco conosciuto perfino in ambito
accademico, visto il numero delle poche ricerche a disposizione se comparate a
quelle relative ad altri disturbi ben più noti ed il suo mancato inserimento
nell’ultima edizione del DSM, nonostante le proposte di psicologi. Si auspica
che tale elaborato possa fornire prima di ogni altra cosa una buona panoramica
del preoccupante quadro che si sta delineando in campo giovanile e che
favorisca lo sviluppo di un maggiore interesse per tutti gli studiosi e non
verso questo fenomeno che risulta inequivocabilmente sommerso, in modo da poter
sviluppare un modello multifattoriale che tenga conto di tutte le variabili
intersecanti per far sì che vi sia un’esauriente spiegazione del disagio
interiore qui trattato.
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