lunedì 26 giugno 2023

L’ADULT ATTACHMENT INTERVIEW: Diagnosi e Terapia per lo sviluppo dei processi di crescita della Persona di Salvatore Sasso


L'Adult Attachment Interview (AAI) è un'intervista semi-strutturata sviluppata dalla psicologa Mary Main e colleghi (1985; 2002), sulla base del quadro teorico della teoria dell'attaccamento di John Bowlby.

Viene utilizzata per valutare lo stile di attaccamento di un adulto e le sue prime esperienze con le figure di attaccamento, in genere i suoi genitori o i caregiver.

L'AAI si basa sulla teoria dell'attaccamento, che suggerisce che le prime esperienze con i caregiver modellano le aspettative, le convinzioni e i comportamenti di un individuo nelle relazioni per tutta la durata della vita. L'intervista, della durata di circa un’ora, mira a comprendere lo stile di attaccamento di un individuo esplorando i suoi ricordi, sentimenti e riflessioni sulle sue esperienze di attaccamento infantile.

Durante l'AAI, l'intervistatore pone 20 domande a risposta aperta sulla relazione dell'individuo con i propri genitori o tutori, così come i ricordi di eventi o aspetti specifici della prima infanzia. L'intervistato è incoraggiato a elaborare le proprie esperienze, pensieri ed emozioni relative all'attaccamento. Vengono richiesti 5 aggettivi per descrivere la qualità della relazione con ognuno dei due genitori, supportandoli con ricordi ed esperienze che hanno condotto alla scelta di quel determinato aggettivo. Inoltre si approfondiscono le esperienze di separazione con le figure di accudimento, insieme ai lutti e ad eventulali traumi subiti. Vengono coinvolte anche le figure dei nonni. Infine l’intervista si pone come obiettivo anche il rapporto con i propri figli e, se non dovessero esserci, come ci si immaginerebbe tale tipo di relazione. L'intervistatore può anche porre domande di follow-up per acquisire una comprensione più profonda dei modelli di lavoro interni legati all'attaccamento dell'intervistato.

L'AAI viene tipicamente trascritta e successivamente codificata utilizzando una serie di linee guida sviluppate da Mary Main e dai suoi colleghi (Main, Kaplan, Cassidy, 1985). Il processo di codifica aiuta a classificare lo stile di attaccamento dell'intervistato in una di queste categorie: Sicuro, Distanziante, Preoccupato, Irrisolto, Non classificabile. Queste categorie riflettono diversi modi in cui gli individui sono arrivati a comprendere e affrontare le relazioni di attaccamento in base alle loro prime esperienze.

L'AAI è stato ampiamente utilizzato nella ricerca per indagare la relazione tra le prime esperienze di attaccamento e gli esiti successivi nell'età adulta, come la salute mentale, le relazioni interpersonali e gli stili genitoriali. Può fornire preziose informazioni sui modelli di attaccamento di un individuo, sulla sua capacità di intimità e regolazione emotiva e sul suo benessere generale.

L'AAI viene valutato in base alle risposte dell'individuo, con particolare attenzione alla coerenza e alla qualità della loro narrazione. L'intervista è progettata per valutare la classificazione dell'attaccamento dell'individuo, che può rientrare nelle seguenti categorie principali:

1.   Sicuro (F - free): Questa categoria rappresenta un atteggiamento equilibrato verso l'attaccamento. L'individuo è in grado di riflettere in modo coerente sulle proprie esperienze di attaccamento passate, riconoscendo sia gli aspetti positivi che quelli negativi. Sono in grado di descrivere in modo coerente le proprie emozioni e relazioni.

2.   Distanziante (Ds - dismissing): Le persone assegnate a questa categoria tendono a minimizzare l'importanza delle relazioni di attaccamento o a svalutarle. Possono mostrare una mancanza di memoria dettagliata delle proprie esperienze di attaccamento o possono esprimere pensieri e sentimenti negativi in modo generalizzato.

3.   Preoccupato (E – entangled): Questa categoria indica un atteggiamento iperattento e preoccupato verso l'attaccamento. Le persone che rientrano in questa categoria possono essere dominate dai loro ricordi e sentimenti di attaccamento, mostrando una scarsa capacità di riflettere in modo coerente sulle proprie esperienze. Possono esprimere confusione o angoscia riguardo alle relazioni attuali.

4.   Irrisolto (U - unresolved): Questa categoria è stata aggiunta in seguito alle ricerche di Main e Hesse. Rappresenta l'incapacità di un individuo di integrare in modo coerente e risolvere eventi traumatici o dolorosi del passato legati all'attaccamento. Le persone che rientrano in questa categoria possono mostrare risposte disorganizzate o incoerenti durante l'intervista.

5.   Non Classificabile (CC – cannot classify): Questa categoria mostra la copresenza di stati mentali relativi all’attaccamento multipli e e incompatibili fra loro, come ad esempio, il distanziante e l’irrisolto. Le esperienze riportate sono spesso confuse da non permettere una elaborazione nell’organizzazione del pensiero e a livello narrativo

Queste categorie sono utilizzate per valutare le risposte dell'individuo durante l'AAI e per fornire un'indicazione generale dello stile di attaccamento. È importante notare che l'assegnazione a una determinata categoria non rappresenta una valutazione definitiva dell'attaccamento di un individuo, ma offre una guida per comprendere le rappresentazioni mentali.

L'AAI è generalmente somministrata e interpretata da professionisti qualificati in psicologia o campi correlati.

È importante notare che l'AAI viene utilizzato principalmente in contesti di ricerca e clinici e richiede una formazione specializzata per la somministrazione e l’interpretazione accurata.

Fornisce preziose informazioni sui modelli di attaccamento di un individuo e può aiutare a informare interventi terapeutici o studi di ricerca incentrati sulla teoria dell'attaccamento.

A livello terapeutico l’AAI consente di raccogliere informazioni sul contesto evolutivo e su tutti quei processi di accudimento che hanno distinto una persona lungo tutto il suo sviluppo. Le narrazioni relative all’Intervista consentono di comprendere quelli che Bowlby (1973) chiamava Modelli Operativi Interni, ossia quegli schemi cognitivi-affettivi che indirizzano la persona allo sviluppo delle relazioni, permettendo di far emergere il mondo interno del paziente e le sue rappresentazioni mentali.

Pertanto il paziente, sia che si tratti di diagnosi sia di terapia, attraverso l’AAI ha modo di utilizzare l’ascolto da parte del clinico per parlare dei suoi problemi attuali collegandoli alle esperienze infantili, mediante uno scambio/condivisione che può condurre ad una situazione di benessere. Una parte importante viene acquisita dal monitoraggio metacognitivo, in quanto, al di là dei processi interni affettivi ci si può riferire anche ai processi di pensiero e della memoria al fine di valutare possibili contraddizioni logiche, anche attraverso una possibile fallibilità della memoria. L’AAI permette, pertanto, una ricostruzione della storia del paziente, facendo riemergere dati che erano stati esclusi dalla propria autoconsapevolezza (Di Carlo e Al., 2011).

 


 

 

 

venerdì 2 giugno 2023

La sindrome di Asperger: quali interventi progettare per bambini e adolescenti di Salvatore Sasso

 




La sindrome di Asperger, anche nota come disturbo dello spettro autistico di tipo 1, è un disturbo neurologico che fa parte dei disturbi dello spettro autistico (ASD). Prende il nome dallo psichiatra austriaco Hans Asperger, che per primo ha descritto le sue caratteristiche nel 1944.

Ecco alcune delle principali caratteristiche della sindrome di Asperger:

1.     Difficoltà nella comunicazione sociale: Le persone con sindrome di Asperger spesso hanno difficoltà a interpretare le sfumature della comunicazione non verbale, come l'espressione facciale, il tono di voce ei gesti. Possono avere difficoltà a mantenere il contatto visivo ea comprendere le dinamiche sociali.

2.     Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: Le persone con sindrome di Asperger possono sviluppare interessi particolarmente intensi e specializzati in specifici argomenti. Possono dedicare molto tempo e attenzione a questi interessi e possono avere difficoltà a conversare su altri argomenti. Inoltre, possono mostrare comportamenti ripetitivi, come movimenti del corpo o routine fisse.

3.     Difficoltà nella comprensione delle emozioni: Le persone con sindrome di Asperger possono avere difficoltà a comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri. Possono avere difficoltà a esprimere emozioni in modo appropriato ea riconoscere le emozioni degli altri attraverso i segnali non verbali.

4.     Rigidezza cognitiva e resistenza al cambiamento: Le persone con sindrome di Asperger possono mostrare un attaccamento eccessivo alle routine e possono avere difficoltà ad affrontare il cambiamento. Possono diventare ansiosi o irritabili se le routine vengono interrotte o se devono affrontare situazioni nuove e impreviste.

5.     Difficoltà nell'empatia e nella prospettiva altrui: Le persone con sindrome di Asperger possono avere difficoltà a mettersi nei panni degli altri ea comprendere le loro prospettive. Ciò può portare a una mancanza di empatia apparente oa comportamenti socialmente inappropriati, anche se spesso non è intenzionale.

6.     Sensibilità sensoriale: Molte persone con sindrome di Asperger hanno una sensibilità sensoriale aumentata o diminuita rispetto alla norma. Possono essere ipersensibili a stimoli come suoni, luci o texture, o possono essere iposensibili a determinati stimoli.

7.     Capacità cognitive e intelligenza: Le persone con sindrome di Asperger spesso mostrano un'intelligenza media o superiore alla media. Possono eccellere in determinati ambiti di conoscenza e avere abilità cognitive particolari, come la memoria dettagliata o la capacità di analizzare pattern complessi.

È importante sottolineare che le caratteristiche e il livello di gravità della sindrome di Asperger possono variare notevolmente da persona a persona. Ogni individuo con questa sindrome avrà una combinazione unica di tratti e sfumature. Quando si lavora con ragazzi con la sindrome di Asperger, è importante adottare un approccio comprensivo, individualizzato e sensibile alle loro esigenze specifiche. Per un intervento efficace diviene fondamentale una comunicazione chiara che:

a.     Utilizzi un linguaggio semplice, diretto e concretamente comprensibile.

b.    Eviti l'uso di espressioni figurate o ambigue che possono confondere il ragazzo.

c.     Fornisca istruzioni dettagliate e suddividi le informazioni complesse nei passaggi più piccoli.

 

Quali sono i tipi di intervento da effettuare con i ragazzi con sindrome di Asperger?

Gli interventi per i ragazzi con sindrome di Asperger sono mirati a favorire il loro sviluppo e ad aiutarli ad affrontare le sfide associate al disturbo.

Ecco alcuni dei tipi di intervento comuni:

1.     Interventi educativi: Un'educazione adatta alle esigenze individuali è essenziale per i ragazzi con sindrome di Asperger. Gli interventi educativi possono includere l'insegnamento di abilità sociali e di comunicazione, strategie per la gestione delle emozioni, l'addestramento alle competenze quotidiane e l'accento sull'interesse particolare dell'individuo per favorire l'apprendimento.

2.     Terapia cognitivo-comportamentale (CBT): La CBT è una forma di terapia che si concentra sulle connessioni tra pensieri, emozioni e comportamenti. Questa terapia può aiutare i ragazzi con sindrome di Asperger a sviluppare abilità di adattamento, gestione delle emozioni e pensiero flessibile. La CBT può essere utile per affrontare l'ansia, la rigidità cognitiva e gli schemi di pensiero rigidi.

3.     L'Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è un approccio terapeutico basato sulla consapevolezza e sull'accettazione dei pensieri e delle emozioni, mentre ci si impegna ad agire in linea con i propri valori. Sebbene l'ACT sia stato originariamente sviluppato per trattare una vasta gamma di problemi psicologici, può essere adattato ed utilizzato anche con adolescenti con sindrome di Asperger. L'ACT può offrire molti benefici agli adolescenti con sindrome di Asperger. Ad esempio, può aiutare ad aumentare la consapevolezza delle proprie emozioni, a comprendere meglio i propri pensieri ea sviluppare strategie per gestire l'ansia e lo stress. Inoltre, l'ACT può incoraggiare l'accettazione di sé e degli altri, aiutando gli adolescenti a migliorare la loro autostima ea costruire relazioni sociali più significative. Tuttavia, è importante considerare che ogni individuo è unico e che un approccio terapeutico può funzionare in modo diverso per ciascuno. Pertanto, è fondamentale che l'ACT o qualsiasi altro approccio terapeutico sia personalizzato alle esigenze specifiche dell'adolescente con sindrome di Asperger, tenendo conto dei suoi punti di forza, delle sue sfide e delle sue preferenze individuali. Una valutazione approfondita da parte di un professionista qualificato può aiutare a determinare l'idoneità dell'ACT come parte di un piano di trattamento più ampio.

4.     L'Acceptance and Commitment Therapy (ACT) – approccio di terza generazione - potrebbe, pertanto, essere un'opzione terapeutica valida da considerare per gli adolescenti con sindrome di Asperger, ma è importante adattare l'approccio alle esigenze individuali di ciascun adolescente. Ciò significa che un terapeuta qualificato dovrebbe valutare attentamente la situazione dell'adolescente, comprendere le sue sfide specifiche, le sue abilità ei suoi obiettivi, e poi personalizzare l'ACT in base a queste informazioni. Ogni individuo con sindrome di Asperger è unico e può rispondere in modo diverso ai vari approcci terapeutici, quindi è importante adattare l'approccio per soddisfare le sue esigenze specifiche. In definitiva, l'ACT può essere un approccio promettente per gli adolescenti con sindrome di Asperger, ma è importante che sia utilizzato in modo personalizzato e integrato in un piano di trattamento più ampio, tenendo conto delle specifiche caratteristiche e sfide dell'adolescente coinvolto.

5.     Alcuni studi clinici del modello ACT (S.C.Hayes, Strosahl e Wilson, 1999) hanno evidenziato la loro utilità nel trattamento dell’ansia, depressione, disturbo alimentari e dipendenze. La psicologia positiva si è rivelata molto valida anche con soggetti non clinici.

6.     La rappresentazione collegata al modello ACT, definito Hexaflex, ci dà la possibilità di lavorare sui processi e naturalmente descrivere più a livello funzionale che nosografico un disturbo mentale, così come classificato dal DSM. Quindi, nel nostro caso specifico, partendo da un accurato assessment, attraverso la rappresentazione dell’Hesaflex si potrebbe costruire un intervento finalizzato al superamento della sofferenza (Salvatore Torregrossa).





7.     Collegato all’ACT troviamo il modello DNA-V, il cui potenziale consentirebbe agli adolescenti e ai giovani di individuare, dapprima i punti di forza, e di conseguenze favorire, nel qui ed ora, il superamento di abitudini mentali inutili L.L. Hayes, J. Ciarrochi, Adolescenti in crescita, Franco Angeli, Milano, 2017).

 

 




lunedì 29 maggio 2023

Riflessioni sul Corso di alta formazione “AUTISMI” Istituto Cartesio, ANAPIA di Salvatore Sasso e Federico Magnani

 



L’idea del corso nasce dall’esigenza di fornire, oltre alle conoscenze teoriche, cliniche e storiche della sindrome dello spettro autistico, un’esperienza condivisa che volga lo sguardo agli aspetti relazionali ed emotivi che coinvolgono bambini, bambine, giovani con autismo e le figure educative. L’ idea che dietro la diagnosi ci sia un individuo con la sua storia, il suo temperamento e i suoi vissuti, ci motiva a indagare le dinamiche dei funzionamenti evolutivi collegati all’attaccamento, alle emozioni e all’ambito socio-relazionale, cosi da aprire un varco nelle barriere che questo disturbo crea.

Il corso da poco svolto si articola in 7 moduli, ognuno con un argomento specifico di pertinenza e legati tra loro da un comune filo conduttore.

L’ obiettivo del corso è stato quello di fornire ai partecipanti (insegnanti, insegnanti di sostegno, educatori, genitori) le conoscenze legate alle modalità di intervento, alla natura dei comportamenti, ai metodi e alle strategie necessarie a lavorare sulle diverse aree di competenza, dall’apprendimento didattico alle competenze sociali, cognitive e relazionali. In particolare uno sguardo è stato rivolto alla natura dello sviluppo psico-emotivo, quelle basi evolutive che attraverso l’esperienza relazionale e l’attaccamento, determinano lo sviluppo dell’individuo.

Crediamo che in questo campo l’esperienza vissuta sia la prassi efficace dell’apprendimento. In questo senso si è voluto fare del corso un’esperienza in cui la partecipazione, l’interazione e le tematiche condivise con i corsisti hanno permesso di indagare i temi più pertinenti rispetto ad un intervento educativo autentico, così da fornire una visione di insieme rispetto ai bisogni specifici dei bambini e dei giovani con i quali scegliamo di confrontarci e incrementare gli strumenti che consentono di capire e sintonizzarsi con quest’ultimi.

Il corso ha fornito così una visione più ampia rispetto alla patologia e ai suoi funzionamenti, con l’obiettivo di creare una consapevolezza non solo verso chi riceve l’intervento educativo, ma anche verso chi si prepone di attuarlo.

Le relazioni che si sono sviluppate durante il corso hanno, pertanto, messo in evidenza come sia stata fondamentale la costruzione del gruppo di insegnamento/apprendimento. Nonostante le lezioni si siano svolte in modalità a distanza, attraverso le strategie utilizzate sulla piattaforma Zoom – le stanze di lavoro – le persone hanno avuto modo di conoscersi e confrontarsi, in maniera esperienziale in coppia, nel piccolo gruppo e nel grande gruppo, su tematiche attinenti la loro parte emozionale.

La costituzione di un “ambiente protetto” ha permesso a tutti gli attori presenti, non tanto di raccontare un fatto accaduto ma soprattutto di elaborarlo sotto la guida pedagogica e psicologica dei conduttori. Ognuno ha potuto così mettere in evidenza le sue fragilità.

Come detto in precedenza, le conoscenze teoriche hanno funzionato da supporto per formulare un progetto innovativo.

In conclusione, non esiste una patologia ma delle relazioni che spesso sfuggono per la difficoltà, a livello istituzionale-sanitario, per la cui condivisione è necessaria la creazione di una struttura di mediazione che svolga il ruolo sinergico di incontro delle varie esperienze e di confronto strategico sul territorio, mettendo in relazione le famiglie, la scuola e le strutture socio-psico-pedagogiche.



 

 

I benefici della pratica della Mindfulness: un approccio consapevole della persona alla vita di comunità di Salvatore Sasso e Gina Filippi



Nel parlare dei benefici della pratica della Mindfulness, seguirò un percorso che cercherà di mettere a fuoco, da una parte, la Mindfulness propriamente detta e dall’altra, tutto ciò che la accomuna alla ricerca in neuropsicosomatica.

Il primo beneficio è sicuramente quello che riguarda lo sviluppo della qualità della vita di una persona.

Secondo Mariarosaria De Simone (2017), che in suo saggio ripercorre l’utilizzo della Mindfulness in campo formativo, quando parliamo di Mindfulness dobbiamo vedere tale lemma come suddiviso, nella lingua inglese, in mindful e awareness. Il riferimento alla lingua Pali del Buddhismo Theravada è la parola Sati, ossia l’attenzione consapevole.  Per raggiungere la felicità non dobbiamo affidarci se non a noi stessi.

Nella tradizione occidentale, il fondatore del protocollo più utilizzato a livello clinico è quello di Jon Kabat-Zinn: MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction), 1979. Nel libro “Dovunque tu vada, ci sei già. Una guida alla meditazione” (Trad. It. Ed. TEA, 2006) Jon Kabat-Zinn sostiene che il processo della Mindfulness inizi come la consapevolezza del porre attenzione al momento presente, nel qui ed ora, mediante la sospensione del giudizio. La sua idea riguarda soprattutto il prestare attenzione in modo intenzionale, attimo dopo attimo. È anche vera l’impossibilità di eliminare qualsiasi tipo pensiero. Semmai la competenza che si sviluppa riguarda il divenire consapevoli che sono soltanto i nostri pensieri e non una riverberazione di quanto avviene nel contesto fuori di noi. Quindi non si tratta di una empty mind, una mente vuota, ma una mente fluttuante che non deve lottare per bloccare i propri pensieri, altrimenti tale lotta/fuga aumenterebbe il livello quantitativo di stress. La tecnica meditativa è centrata sull’ascolto attivo e profondo di se stessi: lasciandoci andare il nostro corpo modifica il respiro, risultando come il segnale di un disagio. La pratica della Mindfulness ci permette di affrontare quegli ostacoli che compromettono il rapporto con gli altri e soprattutto con noi stessi.

Il monaco buddista vietnamita Thich Nhat Hanh nel rispondere nel 2014 alla domanda: Come faccio ad amarmi? Risponde: “Prima di tutto inspiri consapevolmente, e diventi consapevole di avere un corpo, inspirando so di avere un corpo. Il corpo è una parte di te molto importante: Trascorri due ore al computer, sei stressato e non sai come fermarti… e ti dimentichi completamente di avere un corpo durante queste due ore. Stai cercando qualcosa nel futuro, nel lavoro mentre il tuo corpo soffre. Allora il primo atto d’amore è ispirare e andare a casa nel tuo corpo. Inspirando so di avere un corpo. Ciao corpo! Sono a casa! Mi prenderò cura di te! Così essere consapevoli del corpo è l’inizio dell’amore. E quando la mente è la casa del corpo, mente e corpo si trovano nel qui ed ora. E probabilmente noti due cose con la pratica della respirazione consapevole: La prima cosa che noti è che il tuo corpo è una meraviglia, devi riscoprire che il tuo corpo è una meraviglia. Biologi e altri hanno cercato di capire il corpo, che è un capolavoro del cosmo. Il corpo è una meraviglia! Il tuo corpo è il seme della coscienza, della coscienza del cosmo. E tu non sai il valore del tuo corpo! Il corpo contiene tutte le informazioni sulla storia del cosmo. In ogni cellula del tuo corpo puoi riconoscere la presenza degli antenati, non solo gli antenati umani, ma anche gli antenati minerali, vegetali e animali. E tutti i tuoi antenati sono vivi nel tuo corpo con la loro debolezza e la loro forza. Forse hai dato per scontato di avere un corpo, ma è una meraviglia! Il tuo cervello, la neocorteccia, è un tipo di organizzazione molto sofisticata. Il cosmo si è riunito per produrre questa meraviglia che è il tuo corpo e se tu sai come entrare in contatto con il tuo corpo puoi entrare in contatto con l’intero cosmo, con i tuoi antenati e anche con tutte le generazioni future che sono già dentro al tuo corpo per manifestarsi in futuro. Sei capace di apprezzare quella meraviglia che è il tuo corpo? La Madre Terra è in te non sotto di te o intorno a te, ma anche dentro di te. E anche il Padre Sole è in te, tu sei fatto di luce del Sole: sei fatto di aria fresca, di acqua fresca. Essere consapevole e dare valore a questa meraviglia può già portarti molta felicità. Ispirando so di avere un corpo e puoi godere nell’avere quel corpo. E puoi entrare in contatto con la storia della vita, in contatto con i tuoi antenati. Il tuo corpo contiene tutte le informazioni riguardanti il cosmo. E questo tipo di consapevolezza può portare guarigione, può portare nutrimento”. Al maestro zen la domanda gli era arrivata dalla sua pagina Facebook. L’intervista si trova al seguente indirizzo con la traduzione è di Carla Ceolato: https://www.youtube.com/watch?v=9TEo6foMwRk in Zen in the City.

Nel citare ancora Jon Kabat-Zin, mediante un piccolo brano tratto dal libro “Dovunque vada ci sei già. In cammino verso la consapevolezza (Trad. it. Ed. Corbaccio-Garzanti 2017, p. 15), possiamo comprendere come la consapevolezza non escluda il contatto con la realtà: “La consapevolezza è un’antica pratica buddista che riveste un profondo significato per la nostra vita attuale. Questo significato non ha alcuna relazione con il buddismo in sé o la conversione al buddismo, ma riguarda tutto ciò che si riferisce al prendere coscienza e vivere in armonia con se stessi e il mondo intero. Comporta l’autoindagine, la messa in discussione della nostra visione del mondo, della posizione che vi occupiamo e l’apprezzamento della pienezza di ciascun momento della nostra esistenza. Soprattutto riguarda il mantenimento del contatto con la realtà”.

Possiamo sintetizzare, attraverso una rappresentazione, i benefici della pratica della Mindfulness che coinvolgono la qualità della vita di una persona:




Gli effetti della pratica della Mindfulness hanno indirizzato molte ricerche, anche a livello clinico, constatando come essa sia efficace ai fini della riduzione di disturbi e di sintomi fisici e psichici con benefici delle persone “sofferenti”. Gli ambiti di intervento riguardano le malattie gravi e croniche, dalla sclerosi multipla (R. Wanden-Berghe, J. Sanz-Valero, C. Wanden-Berghe , 2011), ai disturbi depressivi (A. Hughes-Morley, B. Young, W. Waheed, N. Small, P. Bower, 2015).

Vedremo più avanti in che modo sia possibile intervenire nei contesti educativi affinché si possa lavorare per migliorare:

1.       L’ascolto attivo;

2.       L’empatia;

3.       La comunicazione nel gruppo dei pari;

4.       La comunicazione tra educatori e alunni;

5.       La concentrazione e l’attenzione;

6.       Gestione dello stress in classe;

7.       Le modalità di regolazione delle emozioni, riconoscendole ed elaborandole;

8.       L’intelligenza emotiva;

9.       Gli apprendimenti.

In linea generale, seguendo la ricognizione della ricerca operata da Maria De Simone (2017), le tematiche che riguardano i contesti formativi sono state affrontate in un tempo più ravvicinato rispetto a quanto ha riguardato la ricerca clinica.

In America, pedagogia e Mindfulness hanno costituito quello che è stato definito come un movimento dedicato alla pedagogia contemplativa, i cui processi formativi sono sostenuti da una filosofia formativa finalizzata ad apprendimenti di tipo esperienziale mediante “pratiche di meditazione, consapevolezza e compassione per se stessi e gli altri”. Si tratta di una filosofia che vede l’educazione come uno sviluppo integrato della persona nella società (p. 101). Le ricerche hanno messo in luce come i benefici della pratica della Mindfulness abbiano dei riflessi “nell’attenzione, nella creatività, nell’apertura mentale, nella capacità di tollerare l’ambiguità, nell’ascolto, nell’accettazione di pensieri ed emozioni negativi”, favorendo benessere psicologico (102). L’obiettivo principale è la formazione di studenti che fanno parte di una società inclusiva, insieme agli apprendimenti classici fatti di conoscenze, abilità e competenze.

Si inizia dalla scuola del’infanzia fino all’università. Vedremo successivamente, in maniera più approfondita  anche il Progetto Gaia, con relativo Protocollo di Mindfulness Psicosomatica costruito, elaborato e testato presso il Villaggio Globale a Bagni di Lucca (LU), sotto la guida di Federico Montecucco.

Ritornando al contesto americano, le prime ricerche in età prescolare hanno evidenziato programmi volti alla promozione di comportamenti pro-sociali e di autoregolazione (Flook, Goldberg, Pinger e Davidson, 2015). Nell’ambito della scuola primaria, la proposizione di programmi di Mindfulness hanno messo in luce un “aumento dell’attenzione e della consapevolezza delle emozioni” (p. 102). Interessante come, in un’esperienza svolta a Napoli, si sia notato un abbassamento sia del deficit di attenzione si di comportamenti iperattivi (Krech e Holley, 2005).

In una mia esperienza personale, attraverso il Protocollo di Mindfulness Psicosomatica, ho notato come bambini con ADHD, durante la fase di respirazione consapevole (Inspirazione e espirazione) si siano talmente rilassati da addormentarsi. Una nota di colore: la stessa reazione di forte rilassamento è accaduta anche agli insegnanti.

Ripercorrendo ancora l’excursus delle ricerche operato da M. De Simone (2017), vediamo come venga del suo articolo citato l’utilizzo da parte di Lee (2008) di un programma di Mindfulness di 12 settimane con bambini tra i 9 e i 12 anni.

Certamente le competenze metacognitive con la pratica tendono a migliorare: è il caso delle funzioni esecutive (Blair e Peters, 2003) e della elaborazione creativa delle informazioni (Jennings, 2008).

Altri interessanti suggerimenti posti nella ricerca bibliografica della De Simone (2017) riguardano un modello concettuale elaborato da Waters et al. (2014) per comprendere come la pedagogia contemplativa abbia, nel corso del tempo, organizzato la sua ricerca. Si tratta di quello che è stato definito come “School-Based Meditation Model”. I filoni della ricerca sono stati tre, mettendo a fuoco soprattutto le evidenze neuroscientifiche su alcune aree del cervello:

1.       La meditazione influenza e modifica la corteccia prefrontale, un’area dedicata alla concentrazione, all’attenzione e alla regolazione delle emozioni; inoltre permette lo sviluppo dei processi di  metacognizione, minore arresto dei meccanismi dediti all’attenzione, al miglioramento della memoria di lavoro e della funzione esecutiva, ossia il saper rilevare informazioni, la loro analisi, interpretazione e la presa delle decisioni. Quella che noi psicologi chiamiamo la pianificazione delle azioni mentali ed emotive.

2.     La meditazione influenza il miglioramento del funzionamento cognitivo in modo che gli studenti possano apprendere al meglio attraverso la regolazione dell’attenzione e della flessibilità cognitiva. Tale processo produce benessere, sviluppo di competenze sociali e una buona prestazione scolastica.

3.     La formazione, attraverso la pedagogia contemplativa, aumenta le competenze cognitive che includono la memoria di lavoro e la regolazione delle emozioni. Una delle variabili più studiata è stata l’attenzione. alcuni autori, citati da De Simone (2017), quali Baijal et al. (2011), hanno osservato come i risultati di un programma di meditazione seguito giornalmente da ragazzi fra i 13 e i 15 anni, rispetto ad un gruppo di controllo, abbiano rilevato livelli più alti rispetto all’attenzione e alla capacità di gestione dei conflitti. Le stesse ricerche sono state svolte anche in campo universitario con effetti positivi “sul sonno, aumento di concentrazione, chiarezza di pensiero e riduzione di idee negative” (p. 104).

Per concludere questa sezione sui contesti educativi, si può affermare come tutti i programmi relativi alla Mindfulness e svolti nei contesti educativi hanno avuto come focus lo sviluppo della competenza di riconoscimento e di gestione delle emozioni.

Arriviamo ora ad affrontare una seconda parte dell’articolo, utilizzando la mappa che segue (Sasso, 2020) come un ponte che unisce quanto detto finora. Un elemento nuovo che introdurremo sarà relativo al Sistema Psico Neuro Endocrino Immunologico (PNEI).

 


Il cambiamento di paradigma in molti campi delle scienze fisiche, umane e sociali è avvenuto sia per le ricerche sviluppate dalle neuroscienze sia dalla PNEI (Montecucco, 2018). Il primo che ha determinato tale termine è stato Thomas Khun (1962), volendo significare che l’interpretazione parte da un modello, ossia delle “soluzioni di problemi che la professione ha accettato come paradigma”. Questo conduce gli studenti ad un’educazione dogmatica, perché il processo è unidirezionale. La ricerca diviene pertanto molto riduzionista. Ma, a livello sociopsicologico, la ricerca non può essere sviluppata da individui isolati, anche se creativi, ma da gruppi che organizzativamente condividono idee ed elaborazioni (Bottaccioli et Al. , 2020). Questo punto di inizio ha provocato un cambiamento di paradigma nella comprensione della coscienza, delle emozioni e di tutti quei meccanismi che sono alla base dei disturbi psicosomatici (Montecucco, 2018).

La Psiconeuroendocrinoimmunologia si presenta come un nuovo paradigma, non riduzionistico in quanto l’organismo umano è un’unità strutturata e interconnessa, dove non esiste una contrapposizione tra mente e corpo, né tra medicina e psicologia, eliminando qualsiasi tipo di riduzionismo che vedeva il primato dell’uno o dell’altro (Bottaccioli et Al., 2020, p. 1).

Altri nuovi paradigma hanno segnato la storia della scienza. L’Epigenetica transgenerazionale, il cui fulcro è comprendere come la coscienza sia il maggior problema non risolto dalla biologia. Maturana nel 1970 afferma che la conoscenza è un fenomeno biologico, in quanto la vita, la conoscenza e la coscienza appartengono ai sistemi organici autopoietici. Infatti insieme a Varela aveva osservato come ogni essere vivente, mentre elabora le informazioni si può sia auto-organizzare sia auto-riparare, mantenendo la propria unità per l’apprendimento e per la coscienza. Le informazioni acquisite comportano il cambiamento dal genotipo al fenotipo. La transgenerazionalità significa che le memorie di conoscenze, esperienze ed emozioni si tramandino alle generazioni successive (Montecucco, 2018). Bottaccioli et Al. (2020) cita anche le ricerche di Waddington come paradigma alternativo a Francis Crick. In sostanza l’epigenetica mette in evidenza i cambiamenti adattivi di un organismo.

Altro cambio di paradigma è avvenuto nel campo delle neuroscienze. Nel 1963 il neurofisiologo Sir John Eccles è stato il primo ricercatore ad occuparsi del Sé e della coscienza. Anche il Nobel della medicina Gerald Edelman propone il concetto di Core Consciouness e di Dynamic network of Consciouness, ossia la rete neurale della coscienza (Montecucco, 2018).

Veniamo ora ad altri due paradigmi che ci toccano da vicino: La rivoluzione psicosomatica della PNEI e la rivoluzione della mindfulness.

Nel volume di Nitamo Federico Montecucco (Istituto di Neuropsicosomatica di Bagni di Lucca, 2018) viene datata l’inizio della rivoluzione psicosomatica della PNEI al 1964 quando George Salomon, che insegnava sia alla Standford University che in quella della California a Los Angeles, creò il termine di “Psychoimmunology”. George Solomon e Robert Ader hanno dimostrato negli animali che la tensione può danneggiare le funzioni immunitarie. Oggi immunologi, microbiologi ed endocrinologi stanno studiando questa relazione. Il cervello e il sistema immunitario comunicano in due modi principali: attraverso gli ormoni che il cervello regola e le fibre nervose che comunicano con le cellule immunitarie. La tensione estrema può alterare la funzione delle cellule immunitarie. Le alterazioni immunologiche possono essere associate ad aree di stress (M. Kemeny, 1995). La ricerca sullo stress ha rivelato relazioni tra cambiamenti neuroendocrini e immunitari. Parallelamente, la crescente evidenza di alterazioni immunologiche nelle malattie psichiatriche ha ampliato il campo; attualmente si ricercano i correlati immunologici delle malattie psicosomatiche e della personalità (M.Biondi, GD Kotzalisdis, 1990).

Nel 1975 sempre lo psicologo Robert Ader, insieme a Nicholas Cohen, hanno determinato il termine la “Psiconeuroimmunologia”.

L’ultimo punto dei nuovi paradigmi riguarda la rivoluzione della Mindfulness, come abbiamo visto già sopra, sviluppata negli Stati Uniti da Jon Kabat-Zinn.

Non possiamo in questa sede descrivere in maniera particolare tutti i processi che contraddistinguono la Mindfulness Psicomatica.

Quello che ci può interessare in particolar modo è come gli studi internazionali di neuroscienze, di psicologia e di ricerca sui comportamenti animali e umani, abbiano osservato undici principali ormoni e neurotrasmettitori che hanno un evidente e profondo effetto psicosomatico sulla salute dell’essere umano: la serotonina, il cortisolo, l’adrenalina, la noradrenalina, il testosterone, gli estrogeni, la vasopressina, l’ossitocina, la prolattina, la dopamina e l’endorfina. Se guardiamo la nostra mappa, possiamo osservare che lo stress e la depressione li esaltino tutti e che la loro diminuzione assoluta è data dalla pratica della Minfulness. La meditazione, attraverso il respiro consapevole, non provoca il rilassamento, ma come afferma Bottaccioli (2020) è una sorta di “allerta rilassata”.

Avendo come punto focale il nostro Sé, possiamo aggiungere più precisamente che:

       La diminuzione degli ormoni dello stress è data dalla diminuzione del cortisolo e dell’adrenalina;

       L’aumento degli ormoni del benessere viene fornito dall’aumento delle endorfine;

       L’aumento degli ormoni dell’affettività è data dall’aumento dell’ossitocina;

       L’aumento degli ormoni che riducono la depressione è la conseguenza della serotonina e della dopamina;

       La riduzione delle citochine previene le infiammazioni;

       Il miglioramento della pressione sanguigna e dell'attività cardiaca è dato dall’adrenalina;

       Il miglioramento del sistema immunitario è conseguenza del basso livello di cortisolo;

       La diminuzione della tensione muscolare e nervosa è data dal basso livello di adrenalina e noradrenalina.

La metodologia, seguendo le indicazioni formative dell’Istituto di Neuropsicosomatica del Villaggio Globale di Bagni di Lucca, deve considerare innanzitutto l’integrazione tra la consapevolezza di sé, la consapevolezza emotiva e la consapevolezza corporea attraverso l’utilizzo del metodo birmano originario per la consapevolezza corporea che è il percorso dell'aria dall'alto verso il basso naso/pancia, contrariamente al metodo MBSR di Jon Kabat-Zinn dove la respirazione parte dal basso.

Nello schema sono inserite tutte le tecniche che vengono utilizzate:


Per esercitare la Mindfulness abbiamo due tipi di modalità (Ronald Siegel, Qui e ora. Strategie quotidiane di Miondfulness, Erickson, 2012):

1.     Pratica informale (Questa modalità non prevede un momento strutturato ma, al contrario, può essere messa in pratica in qualsiasi momento della giornata e in qualsiasi contesto. Ad esempio puoi decidere di mangiare e assaporare i cibi concentrandoti sui sapori; guardare un paesaggio concentrandoti sulle sensazioni non solo visive ma anche uditive; anche mentre si guida la macchina);

2.     Pratica formale (Consiste nel meditare in maniera strutturata almeno una volta al giorno, e richiede, pertanto, un allenamento quotidiano. Ciò che viene richiesto nella pratica formale mindfulness è rimanere concentrati sul respiro per un periodo di tempo ben definito (almeno 20 minuti).

Abbiamo due tipi di meditazione:

1.     Da seduti (È necessario assumere una postura dignitosa su una sedia o un panchetto da meditazione o a terra, all’occorrenza aiutati da un cuscino zafu. Il punto focale è l’attenzione, attorno alla quale ruota la presenza mentale che converge, all’inizio, sul respiro e sul corpo, fino alla consapevolezza aperta. La respirazione va osservata nella sua dinamica essenziale, così come si presenta, senza cercare di modificarla. Al contempo, il corpo va mantenuto nella posizione prescelta senza rigidità, assecondando un atteggiamento eretto e fiero, accettando i fastidi che insorgono e le limitazioni che ogni fisicità impone. Mentre si inspira e si espira, si può cavalcare il flusso della respirazione, momento dopo momento; se l’attenzione evade dal respiro, viene ricondotta a esso con gentilezza e semplicità, per tutte le volte che è necessario. È facile da mettere in pratica in qualsiasi momento e può essere utilizzata anche per pochi minuti: alla scrivania dell’ufficio, in metropolitana, mentre si studia o si affronta un esame, al ristorante, nel momento in cui si senta il bisogno di fare il punto, di raccogliersi, di gestire fatica e stress /Ronald Siegel, 2012).

2.     Mentre si cammina (Thich Nhat Hanh, nel suo libro “Camminare in consapevolezza”, 2017, ci invita a trasformare quello che è un banale e comunissimo gesto quotidiano come il camminare in un'opportunità per entrare in contatto con noi stessi e vivere pienamente il momento presente. Mentre si cammina in consapevolezza è possibile tornare a meravigliarci della natura che ci circonda e allo stesso tempo imparare a esprimere gratitudine per il fatto di essere vivi).

Come ci ricorda anche Maria Beatrice Toro nel libro “Cammini di consapevolezza. L'arte della mindfulness on the road” di co-edito da Morellini Editore, da Enzimi Srls e Yoga Journal (Milano,2019), la differenza tra il camminare e il meditare camminando non esiste. Non dipende dal tempo, dall'andatura, dalla fatica, o dalla lunghezza del percorso, semplicemente dalla pratica di consapevolezza, ossia dall'intenzione con cui si cammina, dall’attenzione che vi si promana e contemporaneamente anche dalla disponibilità a sperimentare la camminata stessa. Mentre si cammina stiamo sempre nel presente (Recensione di S. Sasso per il Sito Modulazioni Temporali).

 


Lo scopo degli incontri (Foto di G. Filippi e S. Sasso) per la pratica della Mindfulness, come abbiamo spesso ripetuto, è quello di sperimentare la consapevolezza di Sé e il rispetto per gli altri, portando gradualmente i partecipanti: a vivere la dimensione interiore di consapevolezza/mindfulness, a superare le difficoltà nel primo approccio alla tecnica, ossia il saper tenere gli occhi chiusi, l’accogliere le preoccupazioni del momento presente, l’imbarazzo, i pensieri ridondanti, e l’imparare a sentire le sensazioni e ad ascoltare il proprio corpo. I membri del gruppo apprezzeranno anche una serie di strategie relazionali, come lo stare in cerchio, il lavorare in diadi, o nel piccolo gruppo, che consentono la condivisione dell’esperienza.

Cosa è possibile fare a livello operativo?

Di seguito propongo tre esperienze, attraverso specifiche pubblicazioni:

1)      La prima è un Programma di educazione alla consapevolezza globale di sé e degli altri, per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza con particolare riferimento ai giovani disagiati e a rischio;

2)      La seconda orientata al mondo dei disturbi del neurosviluppo;

3)      La terza dedicata ai genitori.

Al primo punto possiamo inserire un progetto, già citato, chiamato Progetto Gaia, a cura dell’Associazione Villaggio Globale, Villa Demidoff - Bagni di Lucca (LU). La finalità del progetto riguarda la promozione di un programma il cui punto centrale riguarda lo sviluppo della consapevolezza globale di Sé e del pianeta, costruendo basi etiche, scientifiche e umane. La consapevolezza globale include “la consapevolezza corporea, emotiva, psicologica e le conoscenze del mondo in cui viviamo”. Le strategie pedagogiche ruotano intorno ai metodi partecipativi che consentono lo sviluppo della motivazione e della responsabilizzazione da parte degli studenti.

Il Progetto Gaia, per realizzare i suoi obiettivi per il benessere psicofisico di bambini e ragazzi, si basa su competenze socio-relazionali sviluppate da docenti e psicologi che sono stati formati al “Protocollo Mindfulness Psicosomatica”. L’apprendimento del Protocollo e il suo uso a livello esperienziale consente di utilizzare quelle pratiche idonee relative alla consapevolezza di Sé, di benessere psicofisico e di intelligenza emotiva.

Come nel caso delle pratiche sviluppate in America, citate più sopra, gli incontri del Protocollo Mindfulness Psicosomatica sono dodici, lungo l’arco di 3-4 mesi. Ogni incontro, di circa un’ora, è un’unità funzionale, collegato a quattro moduli tematici. Ogni incontro ha una sua strutturazione ben precisa.

Le tecniche della Mindfulness usate sono di primo livello. Quello che bisogna evitare è di non far fare visualizzazioni, perché la consapevolezza “è uno stato naturale e spontaneo dell’essere e richiede solo la percezione della realtà senza giudizi, accettando e osservando ciò che accade dentro di Sé”.

Al secondo punto possiamo citare un volume: “La Mindfulness per l’ADHD e i disturbi del neurosviluppo” a cura di Cristiano Crescentini e Deny Menghini, Erickson, Trento, 2019. Vorrei focalizzarmi sul Disturbo da deficit di attenzione/iperattività –ADHD, prendendo anche come riferimento un libro pubblicato nel 2020, “Deficit di attenzione e iperattività” di Deny Menghini e Stefano Vicari, Carocci editore Bussole. Gli autori nel corso del testo, accompagnato da una esperienza clinica e pedagogica, mettono in evidenza come le difficoltà legate al disturbo vengono man mano dipanate illustrandone inizialmente le caratteristiche, curandone la storia, focalizzando quali sono i sintomi e la loro estensione all’interno della popolazione infantile e adolescenziale italiana e internazionale, per entrare più nel merito sia a livello scolastico sia in famiglia e per arrivare al come e al quando sia necessario intervenire con i genitori, con gli insegnanti o a livello farmacologico. A livello processuale, viene evidenziato quali possano essere i rischi di una mancata diagnosi: “Nel tempo il bambino e l’adolescente con ADHD tendono a sviluppare bassa autostima, difficoltà relazionali e scolastiche e disturbi comportamentali. L’applicarsi in modo inadeguato e mutevole nei compiti che richiedono uno sforzo mentale sostenuto è spesso interpretato dagli altri come pigrizia, irresponsabilità o mancanza di collaborazione. Questo condiziona negativamente i rapporti con gli insegnanti e con I familiari e si possono verificare contrasti forti e vere e proprie manifestazioni di aggressività. Anche le relazioni con i coetanei sono frequentemente povere e caratterizzate, per lo più, da rifiuti e fallimenti”. Ecco, questo è il ritratto delle difficoltà scolastiche e relazionali che spesso conducono all’emarginazione da parte dei coetanei. Il risultato che ne deriva comporta anche continui rimproveri a scuola e a casa, difficoltà di inserimento in gruppi sociali e sportivi. Insomma un vissuto di grande inadeguatezza che può contribuire all’instaurarsi di modalità depressive (Recensione, a cura di S. Sasso per il sito Modulazioni temporali).

In uno degli articoli del libro di Crescentini e Menghini (2019), tre autrici O. Santonastaso, V. Zaccaro e D. Menghini (p. 87) affrontano i benefici della Mindfulness nell’ADHD. Considerando come l’attenzione abbia un ruolo fondamentale nella pratica della Mindfulness, è necessario concentrarsi sulla regolazione dell’attenzione sostenuta, sulla ri-direzione dell’attenzione, sull’inibizione del processo elaborativo e sull’attenzione non direzionata.

Le ricerche sull’applicazione dei protocolli Mindfulness hanno rilevato una maggiore autoregolazione comportamentale e una riduzione dell’impulsività, il miglioramento delle funzioni esecutive (attenzione, memoria di lavoro e controllo inibitorio), il cambiamento nell’attività dei circuiti fronto-striatali implicati negli aspetti comportamentali e neuropsicologici.

In un training di otto settimane (24 adulti e 8 adolescenti), Zylowska et Al. (2008) hanno osservato un miglioramento della sintomatologia ascrivibile all’ADHD. In seguito a questa ed altre ricerche, le autrici dell’articolo hanno iniziato ad applicare la Meditazione Orientata alla Mindfulness (MOM) – Crescentini e Fabbro, 2016 - a bambini con ADHD (si veda Guida pratica al training MOM nel disturbo da deficit di attenzione/iperattività di O. Santonastaso, V. Zaccaro e D. Menghini (p. 97).

Per quanto riguarda il terzo punto il titolo è davvero simpaticissimo: “Mindfulness per genitori fuori di testa” di Sydne Rome, EFFATÀ EDITRICE, 2019. Il testo che è stato recensito da S. Sasso per il sito Modulazioni Temporali. Il messaggio insito in questo piccolo ma grande libro è rivelatore di come la consapevolezza rappresenti “la gentilezza di un cuore aperto, l’amore per se stessi e per gli altri”. La Mindfulness, come ci ricorda l’autrice, è una disciplina di meditazione che invita a porre attenzione intenzionalmente al momento presente, focalizzandosi su ciò che è davvero importante.

Gli esercizi di consapevolezza che ci propone l’autrice possono aiutare i genitori che “devono trovare un equilibrio nelle esigenze dell’essere genitori e avere le risorse per prendersi cura di se stessi tanto quanto dei propri figli”. Infatti è necessario che tutti i genitori possano bilanciare le richieste dei figli, della famiglia e del proprio lavoro, sia a livello economico che emotivo, individuando il “giusto tempo” da spendere per evitare stress, stanchezza, autocritica e reazioni precipitose, reazioni che possono produrre rotture nell’equilibrio bioenergetico della Persona.

Il libro affronta una serie di micro argomenti per le meditazioni che vi sono inserite. Infatti bisogna ricordare che la Mindfulness ha il suo centro nella respirazione consapevole e gli effetti che ne derivano vanno a stimolare la corteccia anteriore, facilitando così lo sviluppo dell’attenzione, in maniera circolare, al respiro stesso. I benefici riguardano il miglioramento della frequenza cardiaca (che rallenta) e della concentrazione, la chiarezza del pensiero, la positività delle emozioni. A livello endocrino immunologico, la produzione di dopamina e di serotonina viene potenziata dalla produzione di neurotrasmettitori. Inoltre la respirazione consapevole ci aiuta a diventare meno impulsivi e più riflessivi nei momenti di stress, diventando un auto-calmante.

Questo piccolo ma grande libro dà l’opportunità ai genitori di usare la consapevolezza del respiro e comprendere, innanzitutto, che la meditazione è un “motore comprovato per l’attività positiva del cervello” e che, attraverso queste semplici pratiche, di cinque o dieci minuti al giorno, si rimanga ancorati al momento presente per essere più padroni di se stessi e più sicuri nei rapporti di vita quotidiana con i propri figli.

Se non stiamo bene noi genitori, se non sviluppiamo il nostro benessere, i nostri figli ne soffrono.

Attraverso la consapevolezza del respiro, possiamo entrare in contatto con quelle emozioni che ci infastidiscono, alleviandole e godendo dei nostri sentimenti e pensieri più felici.

In sintesi, attraverso gli argomenti presentati, tra i quali lo stress, le aspettative, la presenza, l’essere non giudicanti, l’attaccamento, il sostegno, i limiti, il sonno, la perseveranza, i compiti di scuola, gli adolescenti, la compassione e l’empatia, i valori, la gratitudine e l’umiltà, la spiritualità, e le meditazioni che li accompagnano, anche guidate attraverso la voce di Sidne Rome e scaricabili dalla rete usando i QR Code, i genitori possono:

1.     Ridurre il loro comportamento emotivo negativo e quello dei figli;

2.     Migliorare a sentire la loro genitorialità;

3.     Comprendere quando è meglio prendersi una pausa prima di reagire;

4.     Comprendere che non bisogna giudicare negativamente i propri figli soltanto perché hanno delle difficoltà;

5.     Imparare ad essere più affettuosi;

6.     Imparare a gestire le relazioni fissando limiti e confini per aiutare se stessi e i propri figli;

7.     Imparare a vedere i propri figli come sono realmente e non come pensano che dovrebbero essere;

8.     Imparare a fare le scelte quotidiane necessarie;

9.     Imparare ad amare ogni minuto trascorso con i loro figli;

10. Imparare a stare con i propri figli in ogni situazione.

In conclusione la pratica della Mindfulness si sviluppa attraverso molti sistemi che vanno dal Sé, ai pari, agli amici, ai genitori, agli insegnanti coprendo tematiche trasversali, dalla relazione al vissuto emotivo e affettivo. Il primo obiettivo è essere consapevoli del proprio respiro e trovarsi a casa, nel proprio corpo, come ci ricorda Thich Nhat Hanh.