domenica 23 agosto 2015

“Il mal di scuola” o Prevenire il “mal” di scuola? Reazioni psicosomatiche nei disturbi di apprendimento: dallo studio delle possibili correlazioni al concetto di prevenzione (in coll. con I. Sborlini)

L'articolo è stato pubblicato su Nuove Prospettive in Psicologia, anno XXII, n. 1, maggio 2007, 36-44.


Premessa
Il seguente articolo presenta una sorta di aggiornamento sul progetto denominato “Il mal di scuola”[1], circa i quali risultati preliminari abbiamo già pubblicato c/o detta rivista (cfr. lo studio introduttivo sulla somatizzazione della depressione in età evolutiva, risalente al Maggio 2006, dati relativi agli studenti delle classi III, IV e V della Scuola Primaria e I, II e III della Scuola Secondaria dell'Istituto Comprensivo di Scafa -Pe-, di cui si ringrazia nuovamente il Dirigente Scolastico Sig.ra R. Di Michele e i docenti tutti per la disponibilità ad una costante collaborazione richiesta).
Nello specifico verrà riferita una sintesi dei lavori sulla seconda fase della ricerca, ovvero “Il mal di scuola”- Reazioni psicosomatiche nei disturbi di apprendimento, e quelli sulla prima parte della terza fase, vale a dire Prevenire il “mal” di scuola - studio delle possibili correlazioni tra i predittori dei DSA ed uno spettro di disturbi psicosomatici.
Introduzione
Il quadro concettuale entro il quale ci si è mossi rimane quello di tipo psicosomatico, ovvero quel metaparadigma che si è rivelato un valido riferimento per il lavoro che, proprio per la sua natura, permette l’integrazione intesa tanto in un’ottica multidimensionale quanto disciplinare.
Lo stesso il quale, attraverso un utile e proficuo studio della letteratura circoscritta al nostro interesse, ci ha consentito in particolar modo di affrontare la depressione in età scolare in molte delle sue sfaccettature, ma di accostarla altresì a precise problematiche.
Abbiamo potuto guardare, innanzitutto, alla patologia come ad una possibile conseguenza di stress psicosociali, e in maniera sempre più peculiare, alla risposta psicofisiologica come alla suscettibilità del soggetto in causa, rimarcando l’importanza del reciproco legame esistente fra la fisiopatologia e la vita affettiva della persona.
H. Selye diceva che lo “stress è un concetto scientifico che ha avuto la fortuna di divenire troppo noto, ma anche la sfortuna di essere poco compreso”, difatti è chiaramente riconosciuto che gli stress psicologici specifici ed aspecifici favoriscano perlomeno l’instaurarsi di condizioni predisponenti all'insorgenza di diverse patologie, non ultime quelle psichiatriche proprio come la depressione.
Però parlare di ciò, per quanto riguarda bambini e preadolescenti e, specificamente nel modo in cui abbiamo affrontato l’argomento, comporta necessariamente una serie di distinzioni, pertanto ci preme sottolineare che: il bambino è visto nell’ottica di una complessità in via di organizzazione, che il senso del sé va identificato con l’integrazione psicosomatica dell’individuo, che l’equilibrio psicosomatico inficiato anche da un lieve malessere è dato in ugual misura dalle esperienze corporee ed affettive e, infine, che dello stress abbiamo osservato le manifestazioni psicosomatiche, focalizzando su alcune tra le più frequenti nelle classi e cercando di individuare le fonti del disagio scovato, in vista di riuscire a proporre un giorno spunti di riflessione circa protocolli di prevenzione primaria e secondaria da adottare.
“Il mal di scuola”è: un progetto di ricerca tuttora in atto (entro Luglio p.v. se ne discuteranno gli ulteriori dati emersi), un libro e cioè Il “mal” di scuola -Perché, come, quando si evidenziano difficoltà e disturbi a scuola per alunni e insegnanti - Possibili strategie di osservazione e risoluzione, di Salvatore Sasso (in corso di stampa presso la Casa Editrice Anicia, Roma), e tanto altro tra cui l’input per futuri approfondimenti e, non ultimo, uno degli argomenti del Corso Integrato di Psicologia Clinica di Clinica Psicologica e Psicopatologia Psicosomatica affidatogli (Corso di Laurea in Scienze Psicologiche, cattedra del Prof. Mario Fulcheri, Università degli studi “G. d’Annunzio”, Chieti, A.A. 2007-2008).
Si precisa che il passaggio da “Il mal di scuola” a Il “mal” di scuola vuole centrare l’attenzione su tutte quelle situazioni di difficoltà e disagio che gli alunni possono manifestare nella scuola e non magari cadere nell’ambiguità di un’accezione del tipo ipotizzare effetti deleteri prodotti dall’istituzione scolastica.
Dunque si parla di disagio che può colpire alunni di scuola primaria e secondaria di I livello sì attraverso il seguito di sintomi a carico di apparato gastrointestinale e/o respiratorio, sonno testa e/o pelle che sia, ancora meglio uno sguardo rivolto ai disturbi psicosomatici ed ai loro correlati di apatia, iperattività e disturbi dell’apprendimento in grado di sfociare in una conclamata fobia della scuola.
La paura eccessiva ed il conseguente rifiuto, da parte dello studente, di andare a scuola perché ad essa viene associato un intenso stato ansiogeno, comporta infatti la messa in atto di una serie di problematiche legate principalmente, non all’ambiente scolastico in sé perché non compare con l’inizio della scolarizzazione, ma all’impossibilità da parte dei bambini di sopportare la mancanza dei loro genitori, di qualsiasi contesto si stia parlando, e all’insuccesso scolastico che colpisce coloro i quali hanno un’immagine irrealistica delle proprie capacità.
Tra i fattori predisponenti alle suddette prospettive annoveriamo lo stadio di sviluppo del pensiero dei soggetti presi in considerazione (quello del pensiero operatorio concreto o al limite tra il concreto e il formale -Piaget-) e la tendente incapacità nell’esprimere verbalmente le proprie emozioni provate.
 
Obiettivi
Lo studio, avvalendosi dei risultati della prima fase dalla quale emergeva un’interessante tendenza alla somatizzazione della depressione, concernente la fascia di età che va dai 10 ai 13 anni, ha incluso fra gli obiettivi insieme a quello di verificare preliminarmente la presenza di reazioni psicosomatiche (in primis la somatizzazione della depressione), quello di associarle all’altrettanto eventuale presenza di disturbi dell’apprendimento.
Si specifica che parliamo degli stati depressivi di infanzia e preadolescenza, cioè delle normali risposte ad eventi non certo gradevoli che dagli 8 ai 14 anni si può essere costretti a fronteggiare, e quindi non di depressione necessariamente patologica come canonicamente intesa, e di disturbi aspecifici dell’ apprendimento, vale a dire le difficoltà di apprendimento generalizzate, riguardanti cioè la compromissione di competenze di base di lettura, scrittura, matematica e processi logici, attribuibili però, non ai disordini su base neurologica coi quali si inquadrano i DSA, ma ad aspetti della metacognizione, a quelle problematiche relative all’acquisizione di competenze scolari che possono evolvere o meno nei veri e propri disturbi specifici dell’apprendimento.
Ed il riferimento alla metacognizione va fatto essenzialmente ai suoi fondamenti quali: didattica metacognitiva, in quanto insieme di pratiche educative che agiscono sulla natura dei processi evolutivi del soggetto; il concetto dell’imparare ad imparare, la meta-abilità per eccellenza che evolve con l’allievo stesso e lo guida all’assunzione di responsabilità positiva nei processi di apprendimento; e alla radice dell’approccio metacognitivo che punta al far diventare lo studente gestore dei propri processi cognitivi.
In pratica abbiamo, da una parte, attori sociali, quali situazioni in cui i bambini non sono perfettamente integrati nel gruppo-classe, e come conseguenza di scarso adattamento aprono la strada a presumibili ripercussioni psicologiche tipo maggiore ansia, ritiro in se stessi, bassa autostima e depressione medesima (Searcy, 1988; Wong, 1996).
Dall’altra, si attesta che circa l’80% di bambini con disturbi di apprendimento presenti anche problematiche sociali, le quali potrebbero contribuire all’insorgenza o alla cronicizzazione delle difficoltà nell’apprendimento come, parimenti, le stesse troverebbero origine proprio nel disagio scolastico (Cornoldi, 1991).
Ipotizzando si tratti di un continuum ai cui poli ci siano sintomi depressivi e disfunzioni neuropsicologiche, sarebbe lecito supporre la presenza di una fragilità di tipo emotivo ed una di tipo neuropsicologico.
Gli obiettivi posti, così, diventano il capire prima in quali termini si possa parlare di reazioni psicosomatiche nei disturbi (aspecifici) dell’apprendimento, per poi andare ad indagare quale sia l’origine delle problematiche emotivo-affettive manifestate tra i banchi di scuola, se non già desumibili in età prescolare.
Verrà riproposta, di seguito, una sintesi delle due fasi della ricerca portate a termine rispettivamente nel Luglio 2007 e lo scorso Febbraio.
 
Metodologia: strumenti e procedura -fase II-
In virtù, quindi, della natura continuativa del lavoro, è stato riproposto l’utilizzo della forma B del test autosomministrabile Children Depression Scale -C.D.S.- di M. Lang e M. Tisher, nella versione italiana di S. Gori-Savellini e F. Morino Abele.
Le dimensioni valutate restano le medesime della volta precedente, ovvero riassumibili in: problemi psicosomatici, risposte affettive, cattiva stima di sé, diminuzione dell’efficienza mentale e del controllo, preoccupazione per la morte o per le malattie proprie o di altri, pensieri suicidi, senso di perdita (reale o immaginario) e difficoltà nell’espressione della propria aggressività.
Lo stesso dicasi per i fattori usati da principale guida per l’interpretazione dei risultati: il fattore I a denotare il senso di inadeguatezza che colpisce il bambino/adolescente che vive un rapporto difficile con se stesso ancor prima che con gli altri; il fattore II per il senso di colpa proprio di chi è costretto in un costante disagio familiare.
Hanno invece fatto da secondo questionario, sempre autosomministrabile, le Prove Metacognitive (P.M.) a cura di S. Sasso e I. Sborlini [differenziate per la Scuola Primaria e per la Scuola Secondaria di I livello, sono tratte da Logica-Mente. Abilità trasversali di lingua italiana, matematica e logica di M. P. Rigamonti e P. M. Volpi, Erickson, 2006].
Il reattivo ha permesso di verificare la presenza o meno di difficoltà di apprendimento in genere e di indagare, tra gli alunni della scuola primaria, su organizzazione spaziale, descrizione e confronto, seriazione e processi sequenziali, deduzione della regola e ricerca di leggi, discriminazione, classificazione, relazioni simmetriche/gerarchiche, relazioni temporali, costruzione di immagini mentali, categorizzazione e generalizzazione e trasferimento; per quelli della scuola secondaria di I livello su Processi sillogici, analogici, transitivi, e capacità critica di analizzare le alternative possibili, in aggiunta alle operazioni mentali di cui sopra. Un’ulteriore novità ha riguardato la somministrazione la quale, avvenuta nel bimestre Aprile-Maggio 2007, ha riguardato un campione più cospicuo della volta precedente perchè di ben 664 soggetti ridistribuiti fra Scafa -Pe- n.159, Foggia n.254 e Brindisi n.251 (il confronto interregionale è stato frutto di un campionamento, per quanto casuale, ma pur sempre di comodo ed il riferimento va ai lavori di tesi grazie ai quali hanno luogo molte ricerche, tra cui ovviamente la suddetta).
Discussione dei dati e conclusioni -fase II-
I dati totali, dunque, vengono discussi alla luce di quelli parziali riscontrati da ogni membro dell’équipe (con la supervisione del Prof. S. Sasso e della Sua collaboratrice Dott.ssa I. Sborlini)  -nelle persone delle neo Dott.sse in Psicologia F. Bozza a Foggia, L. Cafiero a Brindisi e C. Giorgi a Scafa- .
Raffrontando i risultati ottenuti da soggetti di 8, 10 e 13 anni, vale a dire quelli di coloro i quali hanno avuto un punteggio elevato al I e al II fattore della C.D.S. e con punteggio massimo alle P.M. sia nelle Scuole Primarie che nelle Scuole Secondarie di I livello, confermano in parte la nostra ipotesi.
Riportiamo i risultati più importanti: nello studio introduttivo di Scafa 2006 è stata rilevata una percentuale media della somma dei due fattori della C.D.S. del 7,2%, pari alla presenza di disturbo psicosomatico e spia, quindi, di una tendenza alla somatizzazione della depressione; si specificava poi, come fossero in maggioranza femmine quelle soggette al senso di inadeguatezza (F1), maschi al senso di colpa (F2). Gli indici di somatizzazione riferiti al 2007, invece, si attestano all’11,3% a Scafa, 15,34% a Foggia e 6,77% a Brindisi, per i quali non si delineano nette tendenze di genere per i fattori, piuttosto si può affermare che generalmente sia aumentato il senso di colpa a scapito di quello di inadeguatezza in quasi tutte le classi (quarta e quinta del ciclo primario e prima, seconda e terza del ciclo secondario di I livello), con l’aggiunta delle classi terze delle scuole primarie.
Per quel che concerne le Prove Metacognitive, di interpretazione maggiormente particolareggiata, si sottolinea un dato ricorrente nei tre sotto-campioni: le abilità cognitive relative a sezioni (corrispondenti agli item delle P.M.) in cui i soggetti hanno incontrato difficoltà sono state la sezione dei Ritmi , degli Ordinamenti e delle Serie, per quanto riguarda la Scuola Primaria e la sezione Risoluzione e Diamo ordine alla realtà, per quanto riguarda la Scuola Secondaria.
Contemporaneamente, dato ancora generalizzabile, si è verificato che pressoché la totalità dei soggetti con punteggio basso alla C.D.S. ne aveva uno basso anche alle P.M..
Pertanto è possibile parlare di correlazione fra reazioni psicosomatiche nei disturbi (aspecifici) d’apprendimento, cioè tra somatizzazione della depressione in età evolutiva e difficoltà di apprendimento.
Al momento, però, non possiamo aggiungere molto, aspetteremo semmai i risultati relativi alla scuola secondaria di II livello, grazie ai quali si prevede un approfondimento relativo alla tendente incapacità rilevata su giovani e giovanissimi ad esprimere le proprie emozioni, celate talvolta proprio da difficoltà scolastiche.
Bassa spinta motivazionale, scarso senso di autoefficacia ed uno stile attribuzionale gravano sull’alunno affatto indipendente nei processi di apprendimento, dando vita ad un processo a spirale del tutto negativo (Tressoldi e Vio, 1996); occorre comprendere dove origini la persistente problematica emotivo-affettiva da loro provata, e di conseguenza quanto lo sviluppo dell’intelligenza emotiva del bambino dipenda dall’ambiente scolastico con relative dinamiche annesse all’interno del gruppo-classe, e quanto dall’ambiente familiare e sociale. L’incapacità di comunicare, il disagio sociale, la spiccata tendenza a dipendere dall’approvazione altrui, dai genitori in particolare, e a percepirsi impotenti nei confronti della realtà (locus of control esterno), fino ai segnali di identità disturbata sono gli elementi tra i più significativi emersi sino ad ora; ma il lavoro si colloca all’interno di un vasto progetto di prevenzione primaria e secondaria in ambito scolastico e vorrebbe, indagate le variabili psicologiche coinvolte, offrire spunti ai “tecnici” o meno per interventi fondati sulla metacognizione oltre che, attraverso per esempio validi colloqui di consultazione e consulenza psicologica, training autogeno gruppi Balint, orientati in sintesi a debellare questo “mal” di scuola.
Metodologia: strumenti e procedura -fase IIIa-
Veniamo ora alla prima parte dell’ultima fase del progetto di ricerca e ci si perdoni il gioco di parole, ma era inevitabile dal momento che ha preso il via la fase di lavoro che, estendendo le ipotesi della fase II alla Scuola Secondaria di II livello, parimenti a quanto fatto con la Scuola dell’Infanzia nella fase IIIa, non poteva che chiamarsi IIIb.
Dicevamo, è stato proposto uno studio sulle possibili correlazioni tra i predittori delle difficoltà di apprendimento ed uno spettro di disturbi psicosomatici, fra i quali non meno il nostro filo conduttore di sempre, l’espressione di forme depressive questa volta anche in età prescolare, o quantomeno la presenza di un nucleo ansiogeno magari alla sua base.
Sono stati utilizzati di nuovo due strumenti, uno, il Questionario Osservativo per l’Identificazione Precoce delle Difficoltà di Apprendimento -I.P.D.A.-, di A. Terreni, M.L. Tretti, P.R. Corcella, C. Cornoldi e P.E. Tressoldi che, come si evince dal titolo stesso, è servito per individuare i bambini da considerare a rischio di difficoltà di apprendimento, individuabili dapprima attraverso una griglia di raccolta dati consegnata agli insegnanti che sono stati chiamati ad operare uno screening rivolto all’intera classe; in seguito, a segnalazione effettuata secondo criteri ben precisi concernenti le medesime aree sottese ai 43 item delle tavole figurative sottoposte ai bambini segnalati, si procedeva su quello che abbiamo chiamato sotto-campione per un approfondimento mirato, attraverso l’applicazione della batteria di prove atte a valutare i prerequisiti degli apprendimenti scolastici di base.
Tale batteria è composta dai suddetti item suddivisi nella sezione delle abilità generali, comportamento del bambino, aspetti di motricità, comprensione linguistica, espressione orale, metacognizione, altre abilità cognitive (memoria, prassie e orientamento) e in quella delle abilità specifiche di pre-alfabetizzazione e pre-matematica.
Si precisa che il terzo passaggio previsto per l’applicazione dei materiali I.P.D.A., nel quale è previsto un intervento di potenziamento delle abilità in cui venivano rilevate carenze per ridurre le conseguenti difficoltà d’apprendimento, non è stata messa in atto, in quanto il recupero non faceva parte del progetto di ricerca. Se e  è segnalata comunque l’importanza agli insegnanti delle classi coinvolte.
Il secondo strumento usato è stato lo Stili Attributivi Motivazionali, di G. Ravazzolo, R. De Beni, A. Moè, reattivo composto da 24 item dei quali 12 riguardanti situazioni di successo e 12 di insuccesso cui sia bambini che insegnanti che genitori sono stati chiamati ad operare attribuzioni causali.
I parametri per stabilire lo stile delle attribuzioni di causalità di ogni soggetto derivano dalle 5 alternative di risposta alle situazioni ipotizzate e sono: SI – attribuzione impegno situazione successo, SB – attribuzione abilità situazione successo, SC – attribuzione facilità del compito in situazione di successo, SA – attribuzione aiuto situazione di successo, SF – attribuzione fortuna in situazione di successo, II – attribuzione mancanza di impegno situazione di insuccesso, IB – attribuzione mancanza abilità situazione di insuccesso, IC – attribuzione difficoltà compito situazione di insuccesso, IA – attribuzione mancanza aiuto situazione di insuccesso, IF – attribuzione sfortuna situazione insuccesso.
Il tutto finalizzato alla misurazione delle autoattribuzioni da parte del bambino e delle eteroattribuzioni da parte di insegnanti e genitori per indagare sulla percezione che i bambini hanno degli eventi che li riguardano e sulle relative conseguenze a livello psicologico e, altrettanto, su come vengano visti dai loro adulti di riferimento.
Le somministrazioni, risalenti a Novembre-Dicembre 2007, hanno interessato un campione composto esclusivamente da soggetti di 5 anni di età, di numerosità pari a 165 alunni delle Scuole dell’Infanzia (scelte previa stessa metodologia della fase II di ricerca) di Chieti: n. 68 di cui 38 bambini, 5 insegnanti e 25 genitori; Pescara: n. 47 di cui 23 bambini, 1 insegnante e 23 genitori; Lucera -Fg-: n. 50 di cui 24 bambini, 2 insegnanti e 24 genitori.
Discussione dei dati e conclusioni -fase IIIa-
La seconda équipe, necessariamente sotto la medesima supervisione succitata, era composta dalle neo Dott.sse in Psicologia R. Candeloro (Pe), E. Di Gioia (Fg) e R. Rastelli (Ch).
Procedendo ad una sintesi dei dati raccolti, segnaliamo innanzitutto quelli relativi al questionario I.P.D.A. la cui consistenza, permetteteci il fortunatamente, è relativamente esigua, in quanto i bambini considerati a rischio difficoltà d’apprendimento sono: nella città di Chieti n. 4 soggetti, a Pescara n. 2 e a Lucera n. 6.
Per quanto riguarda i risultati emersi dal secondo test, Stili Attributi Motivazionali, distinguiamo i dati del sotto-campione dei bambini: dai quali è stato possibile ricavare una tendenza generale di risposte riconducibili ad un locus of control esterno e ad una relativamente bassa autostima; i dati del sotto-campione degli insegnanti: i quali evidenziano una distinzione tra coloro che lavorano ad un livello più emotivo e degli altri che prediligono una didattica maggiormente impostata sul versante metacognitivo; i dati del sotto-campione dei genitori: che però non sembra colga appieno la problematica cui sono colpiti i rispettivi figli, anche se ad onor del vero non possiamo esserne così certi, a causa la scarsa collaborazione offertaci.
Possiamo invece parlare piuttosto indistintamente dei tre campioni come fossero uno soltanto, supportati da risultati che si prestano all’equipollenza; ne consegue che in generale affermiamo che i bambini esaminati, di fronte ad una situazione di successo o insuccesso, scelgono indistintamente di attribuirne la causalità a fattori esterni, ovvero optano per risposte quali “era facile” ancora più spesso del “sono stato fortunato”, attribuendo la causa di un successo ad un fattore stabile incontrollabile, se non ad uno instabile incontrollabile  ed “era difficile” o meno “sono stato sfortunato”, attribuendo la causa dell’insuccesso ad un evento della stessa tipologia (Weiner, 1985).
Un locus of control esterno però, legato all’impossibilità di controllare l’evento, demotiva necessariamente l’alunno all’apprendimento medesimo, ecco poi intuibile una ricaduta sull’autostima che ne esce tanto più danneggiata quanto più s’accompagna ad uno stile attributivo di tipo “stile pedina” o fatalista riguardo sia condizioni di successo che di insuccesso, e tantomeno allo “stile depresso” per cui il soggetto reputa esterna la causa dei suoi successi e interna la causa degli insuccessi (De Beni, Moè, 1995).
Nel caso della nostra indagine, presumibilmente per i numeri coi quali abbiamo lavorato, abbiamo rilevato sia uno stile pedina, sia quello depresso e in assenza di una netta prevalenza dell’uno sull’altro, così come non sono state rilevate differenze di genere legate a tali stili, aggiungiamo piuttosto che lo stile attributivo degli insegnanti si contrappone perché da una parte (il dato però non è riconducibile allo stesso sotto-campione) rileviamo uno “stile impegno strategico” per cui la differenza nelle situazioni di successo e insuccesso per loro la fa l’impegno che c’è o viene meno da parte dell’alunno, ed uno “stile abile”dove, al contrario, lo scarto differenziale è dato dalla presenza/assenza di abilità possedute dall’allievo.
Da parte dei genitori, infine, si prediligono risposte che propendono per lo “stile negatore”, secondo il quale il successo viene attribuito all’abilità del proprio figlio e l’insuccesso a cause esterne, con le dovute eccezioni (riferite a scelte che confluiscono nello “stile impegno strategico”, sebbene ricordiamo che non abbiamo dati a sufficienza per renderli rappresentativi).
Concludendo, al momento possiamo dire che, seppure non suffragata da dati sufficientemente rappresentativi, anche questa specifica fase della ricerca si unisce al trend dei risultati fino ad ora ottenuti in quanto il campione di bambini valutato a rischio di difficoltà di apprendimento ha permesso di rilevare la presenza di una bassa autostima, probabile responsabilità iniziale di un adulto-mediatore, tra lo stimolo e il bambino, non sufficientemente in grado di trasformare le relazioni in esperienze di apprendimento mediato.
È necessario quindi tornare a parlare di metacognizione, e servirà anche per il prossimo passo della ricerca che estenderà la fascia di età del campione da prendere in esame agli 8-19 anni; occorre cioè riprendere i concetti di mediazione, modificabilità cognitiva, potenziale di sviluppo ed educazione cognitiva, per vedere se e quante sono le mediazioni educative efficaci (Paour, 1998) nelle scuole oggi, se ci sia o meno la giusta consapevolezza delle abilità possedute e se si sappia come e quando utilizzarle.
Attualmente non abbiamo riscontri positivi in merito, anzi lo spaccato di realtà descritte potrebbero far pensare ad un difetto, per così dire, nello scaffolding (Wood, Bruner, Roos, 1976) che non riesce ad essere quel sostegno orientato ad un’autonomia futura: o c’è e rimane ben oltre il dovuto, oppure manca.
L’educazione comprende aspetti cognitivi, affettivo-emotivi, motivazionali e culturali; se riconsideriamo l’intelligenza nella sua accezione dinamica, torneremo a guardare al linguaggio, all’importanza e all’intenzionalità dello scambio reciproco che porta all’organizzazione del pensiero e dell’azione, dunque potremmo riconsiderare quello che Vygotskij chiamava apprendimento socializzato nell’area di sviluppo prossimale e studiare le strategie più funzionali all’apprendimento per individuare i programmi di intervento più adeguati a studenti in primis, a insegnanti e genitori, favorendo così la realizzazione di un ambiente scolastico positivo.
E nell’attesa che ci si sensibilizzi alla richiesta d’aiuto, dando luogo ad una vera e propria prevenzione primaria, auspichiamo la presenza ed un ruolo maggiormente attivo dello psicologo a scuola, figura mediatrice per eccellenza tra la scuola e la famiglia per un lavoro di prevenzione secondaria importantissimo, vale a dire contro il  “mal”-essere a scuola, contro il “mal” di scuola.

Bibliografia
  • Sasso S., Sborlini I., Cerratti P.,“Il mal di scuola”. Indagine sulla somatizzazione in età evolutiva, Nuove Prospettive in Psicologia, Fasc. n. 35, numero 1, maggio 2006; pag. 87.
  • Tretti M.., L., Terreni A., Corcella P., R., (2002) Materiali IPDA per la prevenzione delle difficoltà di apprendimento, Erickson, Trento.
  • Sasso S., Sborlini I., (2007), Reazioni psicosomatiche nei disturbi di apprendimento –relazione discussa al IV Congresso nazionale del GRP Università “G. D’Annunzio”, Chieti.
Sitografia


[1] Sasso S., Sborlini I., Cerratti P.,“Il mal di scuola”. Indagine sulla somatizzazione in età evolutiva, Nuove Prospettive in Psicologia, Fasc. n. 35, numero 1, maggio 2006; pag. 87.

 

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