martedì 4 agosto 2015

La didattica metacognitiva e lo sviluppo globale della personalità


L'approccio didattico metacognitivo è una modalità di insegnamento la cui finalità non è solo insegnare a leggere, scrivere e far di conto ma anche sviluppare nel bambino la consapevolezza riguardo all'attività che sta svolgendo, spingendolo a domandarsi il perchè la sta facendo, quando e in quali condizioni è più produttivo affrontarla. Il principio generale che sottintende a questo approccio è che il bambino eserciti un controllo attivo sul suo processo di apprendimento.

           Secondo Dario Ianes, gli insegnanti che utilizzano la metodologia metacognitiva nella loro pratica educativo-didattica operano su quattro livelli, tra loro interconnessi, ognuno dei quali con specifiche caratteristiche di analisi e di lavoro educativo-didattico.

           Ad un primo livello gli insegnanti forniscono all'alunno delle conoscenze generali sul funzionamento dei processi mentali, sui meccanismi che li rendono possibili e sulle difficoltà che possono limitarli. Oltre alle strategie per elaborare, conservare e recuperare le informazioni nella memoria, gli obiettivi didattici possono riguardare la riflessione su altri aspetti come l'attenzione, la percezione, i vari tipi di apprendimento, le differenze negli stili di pensiero, ecc. La finalità è consentire al bambino di comprendere la complessità della mente umana e nello stesso tempo fargli osservare come le attività mentali non sono separate le une dalle altre ma sono tra esse in relazione. Ad esempio, è possibile insegnare al bambino a differenziare tra tipi diversi di attività cognitive. Come suggeriscono operativamente Cornoldi e Caponi, attraverso la compilazione di alcune schede didattiche gli alunni possono essere invitati a riflettere sulla differenza tra ciò che significa associare un disegno, un colore o una scritta (ad esempio, mare) a delle parole, che cosa questi elementi ci ricordano (ad esempio la scritta mare ci ricorda l'estate) e che cosa contengono (ad esempio il mare contiene i pesci). E' necessario che gli alunni comprendano che le tre diverse attività provengono dalla mente, struttura che è predisposta anche per farci sognare, immaginare, pensare, provare emozioni.

   Ad un secondo livello le attività relative alla metacognizione sono indirizzate all'autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo. L'approfondimento a livello individuale può presentare la difficoltà inerente alla novità del compito proposto dall'insegnante, in quanto gli alunni sono indirizzati prevalentemente al raggiungimento di abilità esterne al sé (ad esempio, imparare a fare l'addizione). In questa fase, il dover assumere contemporaneamente il ruolo di osservatore e osservato può far emergere delle difese da parte degli alunni. Infatti accettare, ad esempio, l'esistenza di propri limiti, nell'ambito di una prestazione cognitiva, potrebbe mettere in discussione il livello di autostima. Diventa perciò estremamente importante che l'adulto educatore fornisca all'alunno un'informazione di ritorno in cui sia presente la piena accettazione dell'altro come persona, indipendentemente dal risultato positivo o negativo delle sue prestazioni. E' necessario, a tal fine, organizzare delle situazioni in cui, attraverso la guida dell'insegnante, l'alunno assuma la piena consapevolezza dei suoi errori e delle sue riuscite. Se l'obiettivo riguarda il riconoscere l'esistenza nei propri stati emotivi di problemi legati alle paure, si può chiedere al bambino di compilare un elenco di quelle da lui provate e subito dopo discutere quando è più giusto provarle e quando di meno. Il confronto con gli altri compagni potrà aiutare ognuno a rendersi conto dell'esistenza di modi diversi, o simili, di vedere le varie situazioni.

           Al terzo livello metacognitivo gli insegnanti suggeriscono ai bambini l'uso di strategie attive di autoregolazione dei propri processi conoscitivi. L'autoregolazione dei processi cognitivi passa attraverso 5 fasi: 1) chiarirsi l'obiettivo del processo; 2) darsi delle autoistruzioni; 3) raccogliere dei dati durante lo svolgimento del processo e valutarli; 4) confrontare i dati con gli obiettivi; 5) valutare il processo: se il risultato è negativo si possono applicare delle correzioni, modificando la strategia in corso.

           I processi cognitivi di controllo possono essere insegnati sia come un'abilità per imparare a studiare, sia per spiegare i contenuti di una disciplina specifica. Per imparare delle strategie di apprendimento legate al saper studiare bisogna conoscere innanzitutto il proprio grado di motivazione, le modalità in cui organizzare il lavoro personale, quindi riconoscere l'esistenza di un problema, attivare delle conoscenze precedenti, integrare le varie informazioni e via via generare alternative per la risoluzione del problema. E' necessario anche riflettere sul proprio stile cognitivo per elaborare l'informazione, ad esempio sistematico o intuitivo, globale o analitico, impulsivo o riflessivo, verbale o visuale. Per studiare bisogna anche concentrarsi e per raggiungere tale finalità si deve imparare a prestare attenzione a quanto si sta leggendo, ad esempio rilevando le informazioni più importanti di un testo sottolineando o facendo altri segni di fianco al testo con la matita, oppure aiutandosi con la costruzione di mappe che riassumano tutte le informazioni legate ai concetti presenti in quel testo.

           Una strategia di autoregolazione conosciuta da molti insegnanti è il problem solving, che comprende 6 fasi: 1. definizione del problema; 2. individuazione delle possibili soluzioni (gli alunni sono seduti in cerchio e ognuno esprime la sua idea -brainstorming); 3. valutazione dei vantaggi e svantaggi delle singole soluzioni; 4. scelta della soluzione; 5. applicazione della soluzione; 6. valutazione -nel caso fosse negativa ripercorrere il processo dall'inizio.

           Abbiamo visto sin qui come l'insegnante nella sua attività educativo-didattica sviluppa delle strategie a vari livelli. Il quarto livello è fondamentale perché qualsiasi intervento a livello metacognitivo dipende soprattutto dall'immagine che l'alunno si è formato di se stesso. Il primo aspetto riguarda le modalità attraverso cui le persone interpretano le cause di quanto accade loro. Un alunno, ad esempio, può attribuire un risultato positivo al suo impegno, alla sua abilità, alla facilità del compito, alla fortuna o all'aiuto esterno.    Le attribuzioni si basano sul locus of control, ossia il luogo da cui parte la responsabilità, l'esterno o l'interno di sé. Così l'impegno e l'abilità dipendono da fattori riferibili a se stessi, la facilità del compito, la fortuna e l'aiuto sono attribuibili all'esterno da sé. Queste diversità degli stati emotivi possono essere influenzati dal grado di stabilità e di controllabilità. L'impegno personale è instabile ma controllabile; il possesso di abilità relative ad un compito e la facilità o difficoltà dello stesso sono stabili ma incontrollabili; la fortuna è instabile e incontrollabile; l'aiuto è instabile e controllabile.

           Pertanto, uno stile attribuzionale può caratterizzare un alunno: con un'alta attribuzione verso l'impegno -lo stile più funzionale all'apprendimento-; con un'alta attribuzione all'abilità -Riesco perché sono bravo quindi non serve che mi impegni-; con una bassa attribuzione all'abilità -Non diventerò mai capace, quindi sono un fallito-; con un'alta attribuzione fatalistica -Le cose vanno come vanno e non si possono controllare-. In genere, in caso di successo la causa dipende o dal nostro impegno o perché siamo bravi, mentre se non riusciamo tendiamo a dire che il compito era difficile oppure che siamo stati sfortunati. Lo stile attributivo non è innato, ma è appreso e il suo sviluppo è influenzato anche dal contesto scolastico, oltre a quello familiare. Per i bambini che hanno collezionato molti insuccessi l'insegnamento più utile, a livello metacognitivo-motivazionale, riguarda il far porre insieme l'impegno, l'uso di strategie e una prestazione efficace. In mancanza di questa integrazione i risultati continuano ad essere attribuiti alla mancanza di abilità o a fattori esterni e incontrollabili, e non allo scarso impegno, all'assenza di strategie o a fattori momentanei. Insieme ad uno stile attribuzionale l'alunno deve possedere anche un senso di autoefficacia, ossia la capacità di autoosservare il proprio successo mentre si esegue un compito, e una buona autostima per facilitare il lavoro scolastico. L'insegnante contribuisce allo sviluppo di queste variabili individuali, confermando all'alunno il valore che possiede come persona, indipendentemente dai suoi successi o insuccessi.

            Lo stile attribuzionale, l'autoefficacia e l'autostima danno un forte impulso allo sviluppo della motivazione ad apprendere. La motivazione può essere intrinseca, ossia legata ad aspetti di interesse personale, oppure estrinseca, in quanto rinforzata dall'esterno. Nel primo caso le attività didattiche devono essere costruite cercando di tener presenti gli interessi degli alunni e gratificando il loro impegno che, attraverso un circolo virtuoso, potenzia sempre più la loro motivazione. Nel secondo caso l'intervento dell'insegnante tende a far sviluppare la motivazione rinforzando positivamente tutte le risposte dell'alunno che si direzionano verso un obiettivo specifico.

           In conclusione, un intervento fondato sulla metacognizione deve tener presente il ruolo del gruppo dei coetanei, sviluppando, come afferma Comoglio, degli obiettivi educativi di collaborazione, solidarietà, responsabilità e relazionalità riconosciuti efficaci per una migliore qualità dell'apprendimento. A livello didattico l'insegnante organizza un apprendimento cooperativo nel piccolo gruppo e valorizza anche la figura del tutor, ossia un alunno che insegna ad un altro la competenza o l'abilità che conosce meglio.

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