L'approccio didattico metacognitivo è
una modalità di insegnamento la cui finalità non è solo insegnare a leggere,
scrivere e far di conto ma anche sviluppare nel bambino la consapevolezza
riguardo all'attività che sta svolgendo, spingendolo a domandarsi il perchè la
sta facendo, quando e in quali condizioni è più produttivo affrontarla. Il
principio generale che sottintende a questo approccio è che il bambino eserciti
un controllo attivo sul suo processo di apprendimento.
Secondo Dario Ianes, gli insegnanti che
utilizzano la metodologia metacognitiva nella loro pratica educativo-didattica
operano su quattro livelli, tra loro interconnessi, ognuno dei quali con
specifiche caratteristiche di analisi e di lavoro educativo-didattico.
Ad un primo livello gli insegnanti forniscono
all'alunno delle conoscenze generali sul funzionamento dei processi mentali,
sui meccanismi che li rendono possibili e sulle difficoltà che possono limitarli.
Oltre alle strategie per elaborare, conservare e recuperare le informazioni
nella memoria, gli obiettivi didattici possono riguardare la riflessione su
altri aspetti come l'attenzione, la percezione, i vari tipi di apprendimento,
le differenze negli stili di pensiero, ecc. La finalità è consentire al bambino
di comprendere la complessità della mente umana e nello stesso tempo fargli
osservare come le attività mentali non sono separate le une dalle altre ma sono
tra esse in relazione. Ad esempio, è possibile insegnare al bambino a
differenziare tra tipi diversi di attività cognitive. Come suggeriscono
operativamente Cornoldi e Caponi, attraverso la compilazione di alcune schede
didattiche gli alunni possono essere invitati a riflettere sulla differenza tra
ciò che significa associare un disegno, un colore o una scritta (ad esempio,
mare) a delle parole, che cosa questi elementi ci ricordano (ad esempio la
scritta mare ci ricorda l'estate) e che cosa contengono (ad esempio il mare
contiene i pesci). E' necessario che gli alunni comprendano che le tre diverse
attività provengono dalla mente, struttura che è predisposta anche per farci
sognare, immaginare, pensare, provare emozioni.
Ad un
secondo livello le attività relative alla metacognizione sono indirizzate
all'autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo. L'approfondimento a
livello individuale può presentare la difficoltà inerente alla novità del
compito proposto dall'insegnante, in quanto gli alunni sono indirizzati
prevalentemente al raggiungimento di abilità esterne al sé (ad esempio,
imparare a fare l'addizione). In questa fase, il dover assumere
contemporaneamente il ruolo di osservatore e osservato può far emergere delle
difese da parte degli alunni. Infatti accettare, ad esempio, l'esistenza di
propri limiti, nell'ambito di una prestazione cognitiva, potrebbe mettere in
discussione il livello di autostima. Diventa perciò estremamente importante che
l'adulto educatore fornisca all'alunno un'informazione di ritorno in cui sia
presente la piena accettazione dell'altro come persona, indipendentemente dal
risultato positivo o negativo delle sue prestazioni. E' necessario, a tal fine,
organizzare delle situazioni in cui, attraverso la guida dell'insegnante,
l'alunno assuma la piena consapevolezza dei suoi errori e delle sue riuscite.
Se l'obiettivo riguarda il riconoscere l'esistenza nei propri stati emotivi di
problemi legati alle paure, si può chiedere al bambino di compilare un elenco
di quelle da lui provate e subito dopo discutere quando è più giusto provarle e
quando di meno. Il confronto con gli altri compagni potrà aiutare ognuno a
rendersi conto dell'esistenza di modi diversi, o simili, di vedere le varie
situazioni.
Al terzo livello metacognitivo gli insegnanti
suggeriscono ai bambini l'uso di strategie attive di autoregolazione dei propri
processi conoscitivi. L'autoregolazione dei processi cognitivi passa attraverso
5 fasi: 1) chiarirsi l'obiettivo del processo; 2) darsi delle autoistruzioni;
3) raccogliere dei dati durante lo svolgimento del processo e valutarli; 4)
confrontare i dati con gli obiettivi; 5) valutare il processo: se il risultato
è negativo si possono applicare delle correzioni, modificando la strategia in
corso.
I processi cognitivi di controllo possono
essere insegnati sia come un'abilità per imparare a studiare, sia per spiegare
i contenuti di una disciplina specifica. Per imparare delle strategie di
apprendimento legate al saper studiare bisogna conoscere innanzitutto il
proprio grado di motivazione, le modalità in cui organizzare il lavoro
personale, quindi riconoscere l'esistenza di un problema, attivare delle
conoscenze precedenti, integrare le varie informazioni e via via generare
alternative per la risoluzione del problema. E' necessario anche riflettere sul
proprio stile cognitivo per elaborare l'informazione, ad esempio sistematico o
intuitivo, globale o analitico, impulsivo o riflessivo, verbale o visuale. Per
studiare bisogna anche concentrarsi e per raggiungere tale finalità si deve
imparare a prestare attenzione a quanto si sta leggendo, ad esempio rilevando
le informazioni più importanti di un testo sottolineando o facendo altri segni
di fianco al testo con la matita, oppure aiutandosi con la costruzione di mappe
che riassumano tutte le informazioni legate ai concetti presenti in quel testo.
Una strategia di autoregolazione conosciuta
da molti insegnanti è il problem solving, che comprende 6 fasi: 1. definizione
del problema; 2. individuazione delle possibili soluzioni (gli alunni sono
seduti in cerchio e ognuno esprime la sua idea -brainstorming); 3. valutazione
dei vantaggi e svantaggi delle singole soluzioni; 4. scelta della soluzione; 5.
applicazione della soluzione; 6. valutazione -nel caso fosse negativa
ripercorrere il processo dall'inizio.
Abbiamo visto sin qui come l'insegnante nella
sua attività educativo-didattica sviluppa delle strategie a vari livelli. Il
quarto livello è fondamentale perché qualsiasi intervento a livello
metacognitivo dipende soprattutto dall'immagine che l'alunno si è formato di se
stesso. Il primo aspetto riguarda le modalità attraverso cui le persone
interpretano le cause di quanto accade loro. Un alunno, ad esempio, può
attribuire un risultato positivo al suo impegno, alla sua abilità, alla
facilità del compito, alla fortuna o all'aiuto esterno. Le attribuzioni si basano sul locus of control, ossia il luogo da cui
parte la responsabilità, l'esterno o l'interno di sé. Così l'impegno e
l'abilità dipendono da fattori riferibili a se stessi, la facilità del compito,
la fortuna e l'aiuto sono attribuibili all'esterno da sé. Queste diversità
degli stati emotivi possono essere influenzati dal grado di stabilità e di
controllabilità. L'impegno personale è instabile ma controllabile; il possesso
di abilità relative ad un compito e la facilità o difficoltà dello stesso sono
stabili ma incontrollabili; la fortuna è instabile e incontrollabile; l'aiuto è
instabile e controllabile.
Pertanto, uno stile attribuzionale può
caratterizzare un alunno: con un'alta attribuzione verso l'impegno -lo stile
più funzionale all'apprendimento-; con un'alta attribuzione all'abilità -Riesco
perché sono bravo quindi non serve che mi impegni-; con una bassa attribuzione
all'abilità -Non diventerò mai capace, quindi sono un fallito-; con un'alta
attribuzione fatalistica -Le cose vanno come vanno e non si possono
controllare-. In genere, in caso di successo la causa dipende o dal nostro
impegno o perché siamo bravi, mentre se non riusciamo tendiamo a dire che il
compito era difficile oppure che siamo stati sfortunati. Lo stile attributivo
non è innato, ma è appreso e il suo sviluppo è influenzato anche dal contesto
scolastico, oltre a quello familiare. Per i bambini che hanno collezionato
molti insuccessi l'insegnamento più utile, a livello metacognitivo-motivazionale,
riguarda il far porre insieme l'impegno, l'uso di strategie e una prestazione
efficace. In mancanza di questa integrazione i risultati continuano ad essere
attribuiti alla mancanza di abilità o a fattori esterni e incontrollabili, e
non allo scarso impegno, all'assenza di strategie o a fattori momentanei.
Insieme ad uno stile attribuzionale l'alunno deve possedere anche un senso di
autoefficacia, ossia la capacità di autoosservare il proprio successo mentre si
esegue un compito, e una buona autostima per facilitare il lavoro scolastico.
L'insegnante contribuisce allo sviluppo di queste variabili individuali,
confermando all'alunno il valore che possiede come persona, indipendentemente
dai suoi successi o insuccessi.
Lo stile attribuzionale, l'autoefficacia e
l'autostima danno un forte impulso allo sviluppo della motivazione ad
apprendere. La motivazione può essere intrinseca, ossia legata ad aspetti di
interesse personale, oppure estrinseca, in quanto rinforzata dall'esterno. Nel
primo caso le attività didattiche devono essere costruite cercando di tener
presenti gli interessi degli alunni e gratificando il loro impegno che,
attraverso un circolo virtuoso, potenzia sempre più la loro motivazione. Nel
secondo caso l'intervento dell'insegnante tende a far sviluppare la motivazione
rinforzando positivamente tutte le risposte dell'alunno che si direzionano
verso un obiettivo specifico.
In conclusione, un intervento fondato sulla
metacognizione deve tener presente il ruolo del gruppo dei coetanei,
sviluppando, come afferma Comoglio, degli obiettivi educativi di
collaborazione, solidarietà, responsabilità e relazionalità riconosciuti
efficaci per una migliore qualità dell'apprendimento. A livello didattico
l'insegnante organizza un apprendimento cooperativo nel piccolo gruppo e
valorizza anche la figura del tutor, ossia un alunno che insegna ad un altro la
competenza o l'abilità che conosce meglio.
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